Adottati dopo l’inferno delle sevizie del padre

Adottati dopo l’inferno delle sevizie del padre
Dall’inferno degli abusi, consumati e lanciati in rete, alla speranza di una vita normale. Stanno provando a superare il trauma delle raccapriccianti violenze subite, i tre...

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Dall’inferno degli abusi, consumati e lanciati in rete, alla speranza di una vita normale. Stanno provando a superare il trauma delle raccapriccianti violenze subite, i tre fratelli salernitani protagonisti di uno squallido giro di pedofilia messo in piedi dal padre, e dal suo compagno tra il 2006 ed il 2008 quando erano tutti dei bambini di soli 2, 7 e 10 anni. Allontanati dal contesto familiare già nel 2009 in seguito all’intervento dei servizi sociali, i più piccoli sono stati entrambi adottati da una famiglia salernitana mentre la più grande, dopo due affidamenti non andati a buon fine, vive in una casa famiglia e sta tentando di superare il grosso senso di colpa che serba dentro di sé per non essere riuscita a proteggere i fratellini più piccoli dall’orrore degli stupri.


Ognuno dei tre, si legge nella consulenza dei periti, intervenuti su disposizione del tribunale per i minori, «reca tracce indelebili della violenza subita» ma tutti stanno lentamente ricominciando a vivere. Nella motivazione della sentenza, depositata in cancelleria alcuni giorni fa, con cui i giudici della prima sezione penale (Presidente Cristina De Luca, a latere Troisi e Celotto) hanno condannato tutti i protagonisti delle violenze a pene comprese tra i 18 ed i 10 anni, è ricostruito il contesto di estremo degrado morale e sociale in cui è maturata la vicenda consumatasi per anni nel cuore della città, in un appartamento di via Benedetto Croce, nell’indifferenza del perbenismo borghese dove molti sanno ma fanno finta di non vedere. Lì abitavano i tre fratellini: il padre, disoccupato, racimolava spiccioli “vendendo” i suoi bambini ai suoi amici e mettendo in rete le violenze filmate; la madre, tutto il giorno fuori, si arrangiava facendo le pulizie ma, spesso, era costretta a dormire in strada sulle panchine perché il marito, l’aveva cacciata dal “tetto coniugale” per fare entrare il suo compagno. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino