Agnese, 18 giorni intubata dopo il raduno: «Ho sognato Gesù, poi l'incubo è finito»

Agnese, 18 giorni intubata dopo il raduno: «Ho sognato Gesù, poi l'incubo è finito»
«Ho sognato una salita, poi ho visto la figura di Gesù e poi ho visto una discesa. Dopo mi sono svegliata dal coma». Il racconto di Agnese Morrone, 47enne di...

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«Ho sognato una salita, poi ho visto la figura di Gesù e poi ho visto una discesa. Dopo mi sono svegliata dal coma». Il racconto di Agnese Morrone, 47enne di Caggiano che ha vissuto diciotto giorni in coma a causa del Coronavirus inizia così, da quando è tornata a vivere di nuovo. Agnese - operatrice nel sociale, lavora per la cooperativa Iskra al fianco degli ultimi, dei disabili - è ancora ricoverata nella clinica privata di Campolongo per la riabilitazione. Ma può e vuole raccontare il suo incubo, la sua malattia (e quella del padre), le sue aspettative e la fine del tunnel arrivata dopo 18 giorni vissuti intubata, in fin di vita.


«Dal 14 marzo sono ricoverata - racconta al termine dell’ultima seduta di riabilitazione nella clinica privata di Eboli - e non vedo l’ora di tornare a casa per abbracciare i miei parenti, i miei amici e tutti i cittadini di Caggiano». Caggiano è un piccolo paese al confine nord del Vallo di Diano. Arroccato al confine con la Basilicata, ha dovuto affrontare l’incubo del Coronavirus. È uno dei cinque comuni della provincia di Salerno inserito nella zona rossa dal 15 marzo fino al 15 aprile per decreto regionale a causa della massiccia diffusione del contagio. 

«Sono stata diciotto giorni in coma, intubata a Napoli. Ricordo di aver sognato praticamente sempre. Si alternavano - racconta come un fiume in piena la donna - incubi e bei sogni. Soprattutto sognavo gli amici di Caggiano e i miei cari defunti che mi parlavano. Fino a quando ho sognato questa salita, poi Gesù e infine la discesa. Non ho visto la luce, come raccontano in tanti, ma credo che quella discesa abbia significato la fine del coma».


Agnese è rimasta contagiata in seguito al raduno dei neocatecumenali del 4 marzo a Sala Consilina. «Siamo andati con due auto e abbiamo pregato. Come ho pregato durante tutta la mia convalescenza. L’11 marzo un’amica mi ha contattato in lacrime dicendomi della morte di un fedele per il contagio (Raffaele Citro, primo defunto per Covid in provincia di Salerno, nda). Ho cercato di tranquillizzarla - ricorda - dicendo che noi non eravamo state contagiate. Non era possibile. Qualche ora dopo, però, ho cominciato a sentirmi male. Sono stata messa in quarantena come don Alessandro (il parroco di Caggiano che è morto a causa del Coronavirus, ndr). Il giorno successivo è salita la febbre e non avevo fame. Poi sono svenuta e sono stata trasportata in ospedale a Polla, in ambulanza. Il 18 marzo sono stata intubata». Una “via Crucis”, la definisce Agnese. Un percorso che ancora non è finito anche se il peggio sembra essere passato. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino