Idaff e Isochimica, dramma amianto: la giustizia a doppia velocità

Idaff e Isochimica, dramma amianto: la giustizia a doppia velocità
Ad un certo punto stavano indagando le procure di mezza Campania. Almeno quattro. Quasi un record. Ma l’unica a mettere un punto, per ora, è stata quella di Avellino...

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Ad un certo punto stavano indagando le procure di mezza Campania. Almeno quattro. Quasi un record. Ma l’unica a mettere un punto, per ora, è stata quella di Avellino che, due giorni fa, ha rinviato a giudizio proprietari e tecnici accusati di disastro ambientale. Dopo 28 anni. Per aver interrato l’amianto scoimbentato dai vagoni ferroviari nella Isochimica di Avellino. Dietro una scisa di morti. Tra residenti ed ex operai. Attenzione, però. Perché se l’amianto è un killer silenzioso e inesorabile ma almeno omicida in un’area parzialmente circoscritta, non è così in questa vicenda che non è solo irpina. Anzi. Le procure dicevamo. Indagava quella di Nola perché quelle polveri killer sarebbero state sversate in una cava di Tufino; quella di Salerno perché a Cetara, in costiera amalfitana, i cubi in cemento e amianto sarebbero stati utilizzati per costruire le barriere frangiflutti. E, infine, quella di Nocera Inferiore perché in molti hanno indicato come uno dei luoghi di approdo dei sacchi di amianto, l’Idaff di Fisciano (poi E.bi spa), altro stabilimento di Elio Graziano. Qui, a due passi dall’università, l’amianto veniva incapsulato in cubi di cemento «del peso di 500 kg ognuno», scriveva il pm Gianfranco Izzo. Interrati. Dispersi. O finiti chissà dove. In cave e coste di mezza Italia, hanno fatto mettere a verbale gli ex operai irpini nelle testimonianze del processo Isochimica. 

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Il Mattino