Praticante avvocato con malattia rara: «Non posso fare l'esame in presenza»

Praticante avvocato con malattia rara: «Non posso fare l'esame in presenza»
«Noi giovani praticanti avvocati, da futuri garanti dei diritti dei cittadini, siamo stati dimenticati proprio in tempi di emergenza sanitaria»: è...

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«Noi giovani praticanti avvocati, da futuri garanti dei diritti dei cittadini, siamo stati dimenticati proprio in tempi di emergenza sanitaria»: è l’appello sottoposto all’attenzione del Ministro della Giustizia, Marta Cartabia in una lettera aperta da Benedetta De Luca, per evidenziare la difficoltà dell’esame di abilitazione alla professione forense in presenza in epoca Covid. Benedetta, praticante avvocato di origini salernitane, disabile dalla nascita a causa di una rara malattia che colpisce uno su 60.000 nati, costretta alla sedie a rotelle (da cui spesso rifugge a tutti i costi sforzandosi di stare in piedi con le sue stampelle fashion) da 18 interventi chirurgici e 12 anni di ospedale, è anche un’influencer e disability model. Attraverso la sua community, con 100mila fan si Instagram, sensibilizza ai diritti civili a tutela delle persone con disabilità, contro pregiudizi e barriere, non solo architettoniche, ma soprattutto sociali. Una lettera in cui Benedetta racconta la sua esperienza, la difficoltà di portare avanti i suoi sogni, la laurea in Giurisprudenza. Un’iniziativa che si inserisce nella più ampia mobilitazione delle associazioni italiane dei praticanti avvocati che, ad oggi, è riuscita ad ampliare la discussione, in ambito nazionale, con la possibilità di eliminazione dello scritto in presenza. «Un avvocato donna disabile: più volte ho pensato che fosse impossibile – confessa Benedetta – eppure, nonostante le difficoltà, ho svolto i miei diciotto mesi di pratica forense, tra problemi di parcheggio, salute labile, barriere architettoniche. Ho affrontato tutto con dignità e coraggio, con dedizione e tanta speranza. Anche quest’anno ero pronta ad affrontare la prova più grande, l’esame di stato, dopo un primo tentativo andato male, senza però scoraggiarmi. Non mi sono arresa. Le paure in questo momento, invece, invadono la mia anima». Una pandemia che ha stravolto le vite. 

Come affrontare l’esame con la paura del contagio? E così la delusione e il senso di smarrimento prevalgono. «Mi sento affranta, stanca. Con la mia disabilità e con le mie patologie pregresse, tra cui un’infezione urinaria cronica, un catetere vescicale da fare ogni tre ore circa, una funzionalità renale compromessa e, per di più, con una mamma che da pochi mesi ha avuto un infarto, non mi sento affatto tutelata e ho tanta paura», scrive nella lettera alla ministra Cartabia. Il terrore, quindi, di poter contrarre il virus, mettendo a rischio non solo se stessa, ma anche le persone più care. La difficoltà, inoltre, di sostenere un esame già complesso, amplificato dall’emergenza pandemica, con l’ipotesi di spazi dedicati ai disabili, contro ogni forma di quella inclusione ricercata con forza. «Dopo tanti sacrifici, la strada più sicura sembra essere quella di mollare e di rinunciare al mio sogno di diventare avvocato. L’uguaglianza sostanziale verrà meno e la pari dignità sociale rimarrà solo una parola inattuata all’interno dalla nostra Costituzione, con il rischio che alla fine vinca solo il più forte». La proposta finale rivolta alla ministra di uniformarsi alle modalità di svolgimento già studiate per gli esami di abilitazione delle altre libere professioni, nel rispetto e della tutela del diritto alla salute. Affinchè nessun candidato debba scegliere se partecipare concludere il proprio percorso di studi e di formazione, o dover rinunciare per tutelare la propria vita. 

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Il Mattino