OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Saranno state oltre una trentina le richieste che Vittorio Zoccola aveva per il governatore Vincenzo De Luca. E dodici i procacciatori di tessere «per qualche partito politico» a cui aveva dato mandato di raccogliere soldi. È quanto emerge dalla deposizione in aula dell’ispettore D’Eclesia della Squadra mobile, tra coloro che hanno - in prima persona - condotto le indagini sulle cooperative sociali. Il processo che vede imputati l’ex assessore e consigliere regionale Nino Savastano, difeso dagli avvocati De Caro e Annunziata, e l’imprenditore Fiorenzo (detto Vittorio) Zoccola, assistito dagli avvocati Della Monica e Manzi, entra nel vivo. E, se da un punto di vista documentale ancora non emergono responsibilità da parte del politico, resta ancora da capire quando la Corte scioglierà la riserva sull’utilizzabilità o meno delle intercettazioni telefoniche. È qui dentro, dicono i beninformati, che potrebbero uscire altri spunti interessanti dal punto di vista giudiziario. E ieri, sul banco dei testimoni, anche un altro politico, Giuseppe Ventura, che aveva denunciato lo scandalo delle coop in consiglio comunale.
È stata la sua, senza ombra di dubbio, la deposizione più interessante perché sono stati approfonditi diversi temi investigativi. Conclusa una prima parte dell’esame, il controesame è stato rinviato. Nel corso della deposizione il poliziotto ha anche parlato della «famosa» cena tra alcuni rappresentanti delle coop sociali e il governatore De Luca, alla vigilia delle elezioni regionali.
Una cena di cui è stata trovata la fattura nella sede della coop intestata ad una parente di Zoccola, una «colazione di lavoro» da 650 euro alla quale hanno partecipato dodici persone, tra cui anche l’ex funzionario di polizia Domenico Credendino «grande amico di Vittorio Zoccola» ha precisato in più occasioni l’ex collega, senza però mai citarlo. D’Eclesia ha ricostruito tutta la genesi delle indagini, partendo anche dalla posizione assunta dall’Anac nei confronti del Comune e relativa ad irregolarità nell’esecuzione delle gare di cui il Comune non avrebbe mai tenuto conto tanto da modificare il bando, in chiave peggiorativa per i lavoratori (passati da nove a 5), ma favorevole ad alcune cooperative e quindi si è soffermato sulla documentazione sequestrata presso la sede di alcune società. È qui che ha trovato i famosi «pizzini» sui quali c’era il promemoria per il governator.
L’ex consigliere Giuseppe Ventura, assistito dall’avvocato Gallo in quanto imputato in procedimento connesso (diffamazione, accusa mossa nei suoi confronti dei responsabili delle coop) ha invece parlato delle minacce ricevute da alcune persone in strada, delle ritorsioni subite dal fratello e dal nipote dopo la sua richiesta di chiarimenti in merito alle competenze delle cooperative sociali. «Qualcuno mi segnalò che invece di tagliare l’erba alcuni dipendenti stavano eseguendo un trasloco per conto di Salerno Pulita ma, alla ma richiesta al dirigente Luca Caselli, non ho avuto risposta ma solo telefonate di lavoratori che, non dovendo sapere cosa avevo detto al responsabile dell’Ambiente, mi chiedevano spiegazioni». Ventura ha anche riferito di aver parlato della questione con il sindaco Vincenzo Napoli e l’assessore Angelo Caramanno, di aver inviato delle mail a loro, a Caselli e alla segretaria generale in merito al tipo di lavoro svolto dalle coop e di non aver avuto mai risposta bensì, una denuncia per diffamazione. Mail, queste, ritrovate anche dalla polizia nel corso delle perquisizioni comprese quelle della dirigente del Patrimonio che insisteva con Caselli su alcune procedure relative al bandi e che non riceveva risposte.
Leggi l'articolo completo suIl Mattino