Mentre non si interviene il malato muore». Così gli operatori dell’ospedale Giovanni Da Procida commentano l’annuncio della realizzazione del polo...
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Parliamo di un presidio ospedaliero strutturalmente pronto, dove però gran parte degli spazi e dei reparti sono inutilizzati, nonostante siano presenti alcune strutture all’avanguardia per la riabilitazione, come la palestra e la piscina, l’unica in cui l’operatore entra in acqua con il paziente e priva di barriere architettoniche per i portatori di handicap. Ricordiamo che il day hospital riabilitativo, solo per dare qualche numero, ha fatto registrare 240 ingressi mensili. Eccellenza a cui fa da contraltare la mancanza di collari nuovi per offrire a tutti i pazienti un’assistenza in sicurezza. Per non parlare del laboratorio di analisi, che prima del passaggio del nosocomio dall’Asl all’azienda ospedaliera faceva contare intorno alle 100 mila prestazioni annue.
Senza dimenticare, poi, la presenza dell’unica Tac pubblica, che a dicembre fece guadagnare l’intimo di sfratto all’ex direttore generale dell’azienda ospedaliera Vincenzo Viggiani da parte del governatore De Luca. Cifre che stridono con la situazione attuale, dove in ogni piano la metà dei reparti è chiusa, nonostante sia attrezzato di tutto il necessario, e nelle parti aperte ci sono comunque delle aree chiuse.
Quello che però al momento fa più paura a chi lavora all’interno è la carenza di personale per affrontare questo periodo di transizione che porterà alla realizzazione del polo riabilitativo. Gli stessi chiedono al governatore un segnale che indichi la reale volontà di rilancio della struttura. «Al di la del polo riabilitativo, promesso dal presidente della Regione che sicuramente sarà realizzato, lo stesso chiede i suoi tempi, l’esistente è costituito in questo momento da 16 posti letto, laddove dovrebbero essere 24, come era stato prestabilito – dice Domenico Spampanato, Rsu Cgil Da Procida – Chiediamo la stabilizzazione della riabilitazione attuale, un segnale, perché la gran parte del personale dedito all’assistenza, nonché nei reparti accorpati di pneumologia e medicina, sono a loro volta in prevalenza con limitazioni funzionali, stabiliti dalla medicina del lavoro, per cui anch’essi avrebbero bisogno della riabilitazione. Devono essere anche tutelati nella sicurezza del lavoro, quindi non si può pretendere la piena funzionalità da chi ha limitazioni. Tra poco andranno in pensione altre persone e non sappiamo come dovremo andare avanti». Il problema della carenza di personale è rappresentato principalmente dalla mancanza di operatori socio-sanitari, che sono indispensabili per collaborare con gli infermieri per quanto riguarda la gestione dei pazienti soprattutto in riabilitazione. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino