Secondo l’accusa i medici non avrebbero diagnosticato correttamente i sintomi di una infiammazione dell’appendice scambiandola per una dismenorrea e causando...
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Le vicissitudini della giovane hanno inizio il 13 febbraio del 2014 quando dapprima il nonno e poi la madre chiamano la guardia medica (era una domenica) per sollecitare un interveto domiciliare. La diciottenne, infatti, a parte il ciclo mestruale, aveva acuti e persistenti dolori al ventre con febbre alta, vomito e diarrea. Il medico consiglia loro di chiamare il 118 in quanto «meglio attrezzati per la visita domiciliare e che avrebbero potuto provvedere, nel caso, al ricovero ospedaliero». A seguito della visita il medico somministra alla ragazza una flebo endovena e le diagnostica una sindrome influenzale associata alle mestruazioni. Nei giorni successivi il quadro clinico peggiora.Viene chiamato il medico di base il quale, conoscendo le problematiche della paziente nella fase mestruale, ritenne inutile fare una nuova visita domiciliare. È un medico amico di famiglia, ma soltanto il 17, a consigliare un immediato ricovero in ospedale a causa di un addome acuto.
Una volta al Ruggi i genitori della ragazza, non appena i sanitari le dignosticano una appendicite acuta, ritengono opportuno trasferirla in una clinica privata di Roma dove è stata poi operata e dove i medici hanno trovato un quadro clinico drammatico.Di qui la querela nei confronti dei medici salernitani che non hanno saputo, a detta della vittima, diagnosticare una semplice appendicite. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino