Sembrano uscite dalla mano di un pittore iperrealista le tavole di Nathan Never AnnoZero: crude nel loro espressionismo rigoroso, sporcato da ombre sinistre che trasfigurano...
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Un doppio ritorno, visto hai di nuovo casa a Salerno.
«Beh, alla miniserie ho lavorato quando abitavo ancora in Calabria. Però e vero, l’uscita coincide con il mio rientro qui dove sono cresciuto e mi sono formato. Mi sono allontanato perché mia moglie è calabrese. Poi tre anni fa è nata Clara, ci siamo resi conto che dovevamo farla crescere in una città più vivace, con maggiori servizi e dove fosse più facile stringere amicizie. Ho un appartamento grande, dove ho ritagliato uno spazio atelier. Sono per natura un solitario che realizza utopie. Passo ore ed ore a disegnare, mi immergo in un universo tutto mio, mi perdo tra le fantasie. Avere la famiglia vicino mi riporta nella realtà. E poi avere mia figlia che scarabocchia su un tavolo accanto al mio è una felicità indescrivibile».
Ed è un’occasione anche per una reunion con l’altra tua famiglia, quelli della Trumoon.
«La “fratellanza”, già. Quella dei magnifici anni Ottanta. Raffaele Della Monica, Giuseppe De Nardo, Giuliano Piccinino, Bruno Brindisi, Luigi Coppola: compagni di un viaggio partito da uno studiolo improvvisato e che dura nel tempo. Un legame fortissimo di affetto e stima. Navigavamo a vista sperimentando e confrontandoci, sbagliando e riprovando. Eravamo dei pionieri, non c’erano mica scuole di fumetto a quei tempo. Eravamo ragazzi con un unico comune denominatore: la testa tra le “nuvole”. Alcuni erano amici d’infanzia, altri, come me, sono arrivati con il passaparola. Alla fine eravamo una ventina, disegnatori e sceneggiatori, un’esperienza felice che ha dato i suoi frutti. Molti di noi oggi hanno costruito sui loro sogni una carriera».
Ritorneranno anche i famosi giri di pizza e poker?
«Una pizza, credo di sì; sul poker non ci scommetto. Eravamo io, Bruno, Peppe e Luigi, in attesa del pollo di turno. Peppe vinceva a mani basse, così decidemmo di appendere le carte francesi al chiodo».
Vi hanno battezzato la scuola salernitana del fumetto. Cosa consigli ai giovani?
«Scuola è una parola grossa, meglio movimento. Ai giovani dico che non basta avere talento e tecnica. Ci vuole passione e sincerità. Devi mettere te stesso, emozionarti ed emozionare. È qualcosa di impalpabile, difficile da insegnare, devi averlo dentro. Poi bisogna essere disciplinati come samurai e sapere che questo è un lavoro che ti permette di vivere discretamente ma che il compenso è quando finisci un disegno, lo guardi e sei soddisfatto. Anche l’insoddisfazione per aver commesso un errore alla fine ripaga. Quella ferita ti serve per crescere, per affinare la sfida che hai con te stesso e fare meglio.
Nuovi progetti?
«Un’altra miniserie con Bepi dal titolo provvisorio Morbus, sempre del genere fantascientifico, Orfani, uno speciale Tex e un lavoro ancora top secret. Posso solo annunciare che i tempi sono strettissimi».
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Il Mattino