CAVA DE' TIRRENI - Non era uno spaccio organizzato, ma di «lieve entità». Tredici imputati nell’inchiesta «Hair Coffee», ottengono uno...
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Cocaina, hashish e marijuana, vendute principalmente ai giovani e persino nascosto nelle tazzine di caffè. Da qui lo spunto che diede il nome all’inchiesta, che individuò due distinti gruppi impegnati a smerciare stupefacente. Il Tribunale ha riconosciuto la fattispecie del quinto comma, ovvero la droga spacciata in lieve entità. Entrambi i gruppi, da indagini condotte dall’allora sostitut Cacciapuoti, avrebbero ruotato intorno ad un bar-pasticceria, a pochi metri dal cuore della movida cavese. La droga veniva acquistata nel napoletano, a Boscoreale, Pompei e Torre Annunziata. Poi lo spaccio, che si registrava quasi sempre nelle ore serali, anche in mezzo ai passanti, con i pusher occasionali che approfittavano della calca tra bar e locali. Lo scambio di soldi, con relativa dose, avveniva sempre per strada, negli angoli di arterie secondarie e nei pressi dei portici del corso principale. Gli assuntori, in quel caso, non giungevano solo da Cava de’ Tirreni, ma anche dalla costiera amalfitana. Seppur i carabinieri avessero bloccato, con una serie di interventi, le prime cessioni, l’attività di spaccio veniva spostata altrove. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino