Nel Cilento inaugurata la clinica delle Tartarughe Marine

Nel Cilento inaugurata la clinica delle Tartarughe Marine
Grazie al progetto europeo TartaLife per la riduzione della mortalità delle tartarughe marine durante le attività di pesca professionale, all’interno...

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Grazie al progetto europeo TartaLife per la riduzione della mortalità delle tartarughe marine durante le attività di pesca professionale, all’interno del Museo Vivo del Mare situato nel Parco del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, è stato allestito un apposito spazio con vasche di stabulazione dove ricoverare temporaneamente esemplari di tartaruga catturati accidentalmente o rinvenuti in difficoltà in mare, in attesa del trasferimento, nel minor tempo possibile e con le dovute attenzioni, nei Centri specializzati per le cure in vista della loro successiva liberazione.

All’inaugurazione del Marine Turtle Center hanno partecipato molti ospiti tra i quali: Stefano Di Marco (responsabile Progetti Speciali di Legambiente), Valerio Calabrese (responsabile Museo Vivo del Mare), Stefano Pisani (Sindaco di Pollica), Tommaso Pellegrino (Presidente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni), Antonio Briscione (Presidente Parco Regionale Riserva Foce Sele Tanagro), Raffaele Esposito (Presidente Regionale FIBA).

Nel complesso, sono oltre 130 mila le tartarughe marine della specie Caretta caretta che ogni anno, nel Mediterraneo, rimangono vittima di catture accidentali da parte dei pescatori professionisti. Circa 70 mila abboccano agli ami utilizzati per la pesca al pescespada, oltre 40 mila restano intrappolate nelle reti a strascico e circa 23 mila nelle reti da posta, per un totale di 133.000 catture accidentali con oltre 40 mila casi di decesso.  Considerando nel calcolo anche tutti i pescherecci comunitari e le migliaia di piccole imbarcazioni che dai Paesi africani si affacciano sul Mediterraneo, si arriva più verosimilmente a una stima di 200 mila catture e proporzionalmente a circa 70 mila decessi.


Ma non è solo la pesca a minacciare questa specie. I rifiuti in plastica infatti sono i materiali più frequentemente rinvenuti nell’organismo delle tartarughe ricoverate nei nostri centri. La plastica erosa dall’acqua e dagli agenti atmosferici si frammenta ma non sparisce mai completamente. Le tartarughe, come i pesci e gli uccelli marini, rimangono intrappolate nelle fibre più resistenti oppure ingeriscono i frammenti con conseguenze terribili, dal blocco dell’apparato gastrointestinale all’impossibilità di immergersi o di nutrirsi normalmente.
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Il Mattino