Prova a rubare l’eredità della zia morta, 45enne condannato anche in Cassazione

Prova a rubare l’eredità della zia morta, 45enne condannato anche in Cassazione
Si era introdotto in casa della zia malata per rubare password e documentazione del fondo nazionale di pensione complementare per dipendenti di Poste Italiane. Inoltre,...

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Si era introdotto in casa della zia malata per rubare password e documentazione del fondo nazionale di pensione complementare per dipendenti di Poste Italiane. Inoltre, inviò al gestore del fondo un modulo per designare i soggetti beneficiari usando una firma falsa della zia deceduta, richiedendo di incassare i soldi della posizione maturata. Dopo il rigetto in Cassazione, un 45enne di Nocera Inferiore è stato condannato a 1 anno e 10 mesi per appropriazione indebita e furto. L’imputato aveva chiesto l’annullamento per tre motivi: per la contraddittorietà della motivazione, ritenendo le parti civili non attendibili (la denuncia fu sporta contro ignoti); aveva poi smentito di essere entrato furtivamente in casa, in quanto guidato dalla zia, che gli fornì le chiavi; infine l’assenza di prove, dato che nessuna perizia grafica aveva accertato se la firma sul modulo fosse o meno apocrifa

. La Cassazione ha rigettato tutto: «la decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una mirata rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione». Inoltre, «non risulta manifestamente illogica l’affermazione secondo la quale la circostanza che le due parti civili abbiano omesso di rivelare, in sede di denuncia, che essi già sapevano che l’autore del furto era il nipote confermerebbe la loro attendibilità. Difatti, tale condotta avvalora l’ipotesi che essi mirassero solo a tutelare i loro interessi economici e non avessero interesse ad incolpare il nipote, il che escluderebbe che essi abbiano inteso accusarlo falsamente». Respinti anche gli altri motivi, legati al possesso delle chiavi, in quanto «la defunta aveva la disponibilità delle chiavi». Lo stesso per la firma, dato che i giudici d’appello avevano fornito «adeguata motivazione, osservando che la falsità della firma è assolutamente difforme rispetto a quella apposta sul modulo di adesione al fondo». 

 

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Il Mattino