Un bellissimo “a solo” di tromba, una melodia dal languore accorato introduce lo sconforto di Ernesto, quel «Cercherò lontana terra» che cancella...
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Il primo atto apre, infatti, sul belvedere di un palazzo che rimanda, per la sequenza di sculture sulla balconata, alla terrazza sull’infinito di Villa Cimbrone. E, anche l’ambiente interno, con colonne e pareti decorate da ceramiche vietresi, ricorda la dimora ravellese di Lord Grimthorpe. Un girevole con moto rotatorio, scandito da proiezioni di paesaggi amalfitani, lega la narrazione come se si svolgesse nell’arco di un’intera giornata. Insomma, una sorta di teatro nel teatro, proprio come l’avrebbe voluta Donizetti, perché - spiega il regista - è la prima volta che il compositore ha cercato sia nel soggetto che nella musica un’efficacia di tipo teatrale».
Un’opera complicata il Don Pasquale, malgrado sia amata dal pubblico per la sua leggerezza. Lo sottolinea il direttore d’orchestra che, in piena sintonia con Canessa, ha lavorato sulla contaminazione tra comico e romantico, dando voce alle varie sonorità e alle varie velocità «in un ponte tra Rossini e Verdi», con la musica che accompagna gli stati d’animo. Sì, perché è questa l’originalità dell’opera, l’«essere un ponte tra due grandi momenti storici dal punto di vista musicale e teatrale, il buffo ed il melò». La storia è nota e si ispira alla commedia dell’arte: è quella dei travagli matrimoniali dell’anziano e benestante don Pasquale in lotta con il nipote Ernesto, una sorta di bamboccione dei nostri giorni che vive a suo carico. Un po’ per solitudine, un po’ per fargli dispetto vuol prendere moglie. Pericolo scongiurato grazie al raggiro messo in atto dal Dottor Malatesta che gli propone la virginale sorella Sofronia come sposa. In realtà si tratta di Norina, la bella vedova amata da Ernesto. Tra macchinazioni e situazioni maliziose la beffa va a buon termine col classico lieto fine, «ma - sorride Canessa - con un predominio malinconico sul divertissement che esalta gli intrecci emotivi».
Per questo nuovo allestimento del Verdi - sarà l’età più matura e l’immedesimarsi per prossimità d’anni con questo sessantenne che fa pensare al De Sica innamorato della Bersagliera - ha rivisto, facendo autocritica, la sua prima regia del «Don Pasquale» dove aveva fatto prevalere la parte brillante.
Il Mattino