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«Non ci mettiamo niente a prendere la figlia, chiuderla in una stanza e tagliarle un dito fino a quando lui non esce». La bambina in questione, figlia di un usurato, aveva solo 9 anni. È la minaccia che Luigi Bifulco rivolge al cognato del militare, suoi cliente, che non si faceva trovare. Secondo il marito della moglie, l’uomo era in missione ma Bifulco non ci crede, si proclama «portavoce di gente di mezzo la strada» e minaccia. Il cognato dell’usurato viene preso di mira diverse volte da Bifulco accompagnato e spalleggiato, in tutte le circostanze, da un professionista, l’avvocato penalista Francesco Candela che non esita a fare minacce: «Lo troviamo perché prima o poi un contatto con la famiglia lo deve avere...Poi uno si scoccia, capisci... vabbè uno poi aspetta un giorno, aspetta un’altra settimana, aspetta quindici giorni però poi non riesci più a controllare e quando non riesci più a controllare ... eh, a me dispiace però le cose si fanno». E per trovare l’uomo che deve loro gli interessi maturati su un prestito, Bifulco va persino nel Frosinate, presso una clinica privata, dove si trova il padre in fin di vita. L’uomo, nel corso degli anni è stato costretto a pagare al gruppo di usurai 300mila euro e a cedere loro una villa. Il particolare era questo: per recuperare crediti, si facevano date beni mobili ed immobili che poi vendevano a terzi con regolari contratti di compravendita. Era la cessione del bene del tutto irregolare.
Sono cinque e tutti considerati, a vario titolo, responsabili dei reati di concorso in violenza privata, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, in alcuni casi aggravati dal metodo mafioso.
L’ipotesi accusatoria, a proposito della quale è stata ritenuta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati, riguarda la concessione di prestiti di denaro mediante l’applicazione di tassi di interessi di natura “usuraia”, nei confronti di persone in stato di bisogno e la realizzazione di rilevanti atti di intimidazione nei confronti delle vittime, tali da costringerle per far fronte ai debiti contratti, in alcuni casi, a vendere i propri beni e consegnare agli usurai il ricavato a parziale ristoro dei debiti. Tassi che, hanno rilevato gli inquirenti, potevano andare dal 10 per cento fino al 30% mensili. Nel corso delle indagini sono documentate diverse attività di intimidazione anche nei confronti anche dei familiari delle vittime, ad esempio mediante il danneggiamento di vetture o l’invio di messaggi minacciosi, nonché recandosi personalmente presso i luoghi di lavori per costringerli al pagamento dei debiti. Complessivamente le vittime di usura, a fronte degli originari prestiti, avrebbero dovuto restituire una somma pari a circa 1 milione di euro mediante il riconoscimento di interessi superiori ai tassi soglia ed in alcuni casi oscillanti tra il 300 ed il 514 % annuo. Tale ultima circostanza evidenzia chiaramente l’entità dei profitti che scaturiscono dall’esercizio dell’illecita attività della concessione di prestiti di denaro a tassi usurai. L’aggancio del cliente avveniva quasi sempre attraverso il passaparola, uno dei soggetti che indirizzava lavorava come guardiano presso una partecipata del Comune. Secondo gli investigatori l’attività, prestata spesso anche nei confronti di professionisti che non potevano accedere ai normali canali di erogazione di finanziamenti, era ancora in corso al momento dell’arresto. Di qui le esigenze cautelari per tutti gli indagati.
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