Sul piatto mozzarella finto dop storica condanna dopo 16 anni

Sul piatto mozzarella finto dop storica condanna dopo 16 anni
SALERNO - La rivincita della mozzarella Dop. Finisce con la vittoria del consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana dop la battaglia giudiziaria, durata ben sedici...

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SALERNO - La rivincita della mozzarella Dop. Finisce con la vittoria del consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana dop la battaglia giudiziaria, durata ben sedici anni, ingaggiata dall’ente consortile contro un caseificio di Altavilla Silentina che utilizzava in etichetta colori che richiamavano il noto marchio. Una sentenza «storica», anche se di primo grado, quella emessa ieri dal tribunale di Salerno, che apre di fatto la strada a una maggiore tutela delle produzioni certificate. Il giudice ha definitivamente accolto la domanda del consorzio inibendo al titolare della cooperativa «La Carrozza» l’utilizzo e l’eventuale rimozione del contrassegno di sua proprietà dagli incarti della mozzarella.


Soddisfatto il presidente del consorzio, Domenico Raimondo, «è un caso più unico che raro – dice - finalmente dopo anni un giudice ha riconosciuto l’inganno di un trasformatore nei confronti del consumatori». Sottolinea l’importanza della sentenza anche Mario Catania, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta Anticontraffazione. «Il Tribunale si è pronunciato con estrema chiarezza – commenta - con questa sentenza si tutela anche la fiducia dei consumatori verso i loghi e le informazioni in etichetta». Una sentenza destinata a fare scuola per Catania che aggiunge: «È importante perché così si tutela il logo del consorzio di una denominazione d’origine: un fondamentale contributo della giurisprudenza nella lotta alla contraffazione e alle fenomenologie di usurpazione e imitazione».

Ma riavvolgiamo il nastro. La querelle inizia nel 2000 quando gli ispettori del consorzio scoprono che sulle buste e i cartoni utilizzati per il confezionamento la cooperativa agricola La Carrozza utilizzava un marchio che aveva gli stessi colori (bianco, rosso e verde), di quello dell’ente consortile. Un’etichettatura che «poteva trarre in inganno i consumatori con conseguente danno per il prodotto certificato».


Da qui gli inviti, caduti nel vuoto, a modificare la grafica dell’incarto che, per gli ispettori, «imitavano servilmente» il marchio del consorzio. Quello che si contestava era, appunto, il segno grafico che «richiamava genericamente il logo della Dop pur non costituendo una esatta riproduzione e anche se intrinsecamente diversi e materialmente inconfondibili». Contestazioni che approdano poi in Tribunale. Ieri, dopo 16 anni, l’attesa sentenza. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino