Non sono l’Arpac, la Regione o il Comune a determinare lo stop all’attività delle fonderie ma il non rispetto della legge». Pietro Vasaturo rispedisce al...
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Commissario, che idea si è fatto dell’ennesima sospensione delle attività delle Fonderie Pisano?
«È chiaro che tutte le affermazioni sia del presidente De Luca che del sue vice Bonavitacola, come della stessa proprietà Pisano, inducono a pensare, per l’attuale contesto urbanistico dell’area in questione, che lo stabilimento vada delocalizzato. Sia a salvaguardia della salute dei residenti che dei posti di lavoro».
Sulla delocalizzazione non ci sono più dubbi. Ma prima che si realizzi, che si fa? Le criticità emerse sono preoccupanti, no?
«Tutte le forze in campo, e parliamo di cinque dipartimenti di Arpac, confermano, tra le altre cose, la presenza di idrocarburi totali nelle acque reflue che finiscono poi nel fiume Irno e il superamento, di circa 13 volte, dei limiti del monossido di carbonio sul camino E1. Anche duplicazioni o triplicazioni dei controlli, che abbiamo effettuato per sicurezza, confermano tali sforamenti».
Queste e le altre criticità riscontrate sono superabili nei dieci giorni annunciati dall’azienda?
«Tutto è possibile, dipende dalle energie che vengono messe in campo per gli adeguamenti. E sicuramente Pisano avrà preso tanti e tali tecnici da ritenerlo fattibile. In ogni caso, nessuno, se non le verifiche successive, potranno dire se sono bastati dieci giorni».
Lei cosa prevede?
«Ripeto una battuta, spero non sacrilega: qui ci vuole l’intervento di San Michele, generale del cielo e poliziotto per eccellenza».
È pessimista…
«Posso solo sperare che, nelle more di una delocalizzazione, l’impianto sia messo a norma. Ruolo dell’Arpac, d’altro canto, non è dare suggerimenti ma, quale ente terzo, procedere a verifiche e controlli. Personalmente, auspico che la proprietà effettui gli adeguamenti per il tempo strettamente necessario alla delocalizzazione».
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Il Mattino