SALERNO - «A Salerno non c’è una “casa” per Alfonso Gatto? Come è possibile che la città, la sua città, non abbia ancora reso...
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Vecchioni spiega di aver scoperto Gatto a 15-16 anni: «I miei acquisti li facevo sulle bancarelle e un giorno mi capitò tra le mani l’antologia di poesia italiana contemporanea di Giacinto Spagnoletti. C’erano anche pagine di Gatto, ricordo ancora l’emozione provata nel leggere “Carlo Magno nella grotta”, mi colpì quel lessico straordinario, totalmente diverso da quello sintetico di Ungaretti, l’elaborazione concettuale, il modo di utilizzare gli aggettivi, il senso evocativo che è sempre presente nelle sue liriche e nelle sue prose. Chiudi gli occhi e le parole diventano visioni. Ho letto tutte le sue opere ed ho un solo rammarico, quello di non averlo mai incontrato. Così come mi dispiace che in Italia sia tra i poeti meno conosciuti. Ma è la sorte di altri grandi poeti, come Sanguineti».
Ma la poesia non sembra essere più di moda... «Sì - aggiunge il cantautore - la poesia vera non è più di moda, e non solo quella di autori e autrici contemporanei che, purtroppo, sono fuori dai programmi scolastici. Penso ad Alda Merini, a cui ho voluto, ricambiato, molto bene; a quel macigno di bellezza che è la produzione di Wislava Szymborska; alla sensibilità esistenziale di Beatriz Comtessa de Dia, al coraggio di questa cantastorie del 1200. Mi sento come lei, un trovatore. La poesia è amore, rivoluzione, cambiamento, e quando non si ascoltano più le voci dei poeti decade la società. Gatto sapeva la sacralità del rompere le righe, era uno contro, come me. Forse, per questo, è stato condannato alla solitarietà. Una “casa” per Gatto è un passo da compiere. Bisogna combattere per la luce, ci devono essere i cavalieri della luce: educatori, giornalisti, scrittori, è un obbligo morale». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino