Il compagno violento muore, lei si salva: «Chi fa del male lo farà sempre»

Il compagno violento muore, lei si salva: «Chi fa del male lo farà sempre»
«Voglio dire a tutte le donne che come me hanno subito violenze, di denunciare... Denunciate, chiedete protezione... Non perdonate perché chi vi fa del male ve ne...

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«Voglio dire a tutte le donne che come me hanno subito violenze, di denunciare... Denunciate, chiedete protezione... Non perdonate perché chi vi fa del male ve ne farà sempre». È il disperato appello di una giovane donna rumena di 37 anni la cui vita è stata segnata, fino a sei anni fa, solo dalle violenze. Di ogni tipo. qualche settimana fa i giudici della Corte d’Appello di Salerno le hanno restituito i suoi due bambini che le erano stati strappati dai nonni paterni italiani dopo la morte del suo compagno. Ma quella sentenza che le restituisce la dignità di madre ha, di fatto, portato alla luce anni di sofferenze silenziose e di soprusi legali. «Io ho sbagliato - continua Stefania, nome di fantasia - ma l’ho fatto perché ero molto giovane e perché avevo paura». 


IL RACCONTO
Teatro delle violenze, un centro a sud di Salerno. È qui che Stefania arriva nel 2007 su consiglio di quella che lei credeva essere un’amica ma che, di fatto, l’aveva «venduta» ad un uomo di ventidue anni più grande di lei. «Con il suo compagno - racconta -aveva organizzato una convivenza per me senza che io ne fossi a conoscenza». Stefania arriva in Italia a 19 anni, un divorzio alle spalle e un bimbo di due anni nato da una violenza subita. Una volta nel Salernitano, dopo una settimana di lavoro come badante a casa di una coppia di anziani, è costretta a lasciare il posto per le avances del marito della donna che assisteva. Quel giorno inizia il suo calvario. Il compagno italiano della sua amica rumena, le propone un’uscita a quattro che lei declina. La proposta le viene rinnovata per altre sere, fino a quando quest’uomo - quello che poi diventerà il padre dei suoi due figli - si presenta con violenza a casa. Inizia una storia segnata da continui soprusi dell’uomo che non accetta di essere respinto, fino a minacciarla di fare del male alla sua amica. Stefania cede: va a vivere con lui in campagna ma non viene accettata dalla sua famiglia. Resta incinta di due gemelli, ne perde uno, porta avanti una gravidanza a rischio tra restrizioni e violenze, soprusi della suocera e della cognata. Neanche la nascita del primo figlio calma l’uomo, anzi. Lui inizia a trattarla come una serva: «Tu devi solo fare pulizie e figli», le ripete in continuazione. Così, nonostante il bimbo piccolo e un’altra gravidanza a rischio, lei si trova costretta a dover badare a lui, assecondare le sue voglie di socialità senza alcuna possibilità di poter dire «sono stanca».

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Intanto Stefania fa arrivare dalla Romania anche l’altro figlio e, con lui, i suoi genitori i quali, da subito, non accettano di vederla vittima di quell’uomo. Durante una delle loro litigate, difatti, lui la sbatte contro un mobile e lei perde i sensi, finisce in ospedale. Qui i medici la invitano a denunciare ma lei ha paura. Soltanto quando il compagno parte per un viaggio in Calabria, lei trova la forza di andare dai carabinieri. Viene portata in una casa famiglia ma lui riesce a convincerla a tornare a casa. «Era il padre dei miei figli - racconta - e così l’ho perdonato». Ma la situazione peggiora. La cognata e la suocera trattano male il figlio avuto dal precedente matrimonio, fino a farlo mangiare fuori nel pollaio con gli animali. «Eppure - ricorda - mio figlio lo chiamava papà e chiamava nonni i suoi genitori. Anche con i figli avuti insieme, lui era molto burbero. Forse, a suoi modo, gli voleva bene... ma molto alla sua maniera». Poi improvvisamente la morte di lui per emorragia cerebrale dopo una settimana di coma. «Nonostante tutto ho sofferto, mi sono sentita sola», confida Stefania.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino