Linfoma non Hodgkin, possibile svolta: ecco il nuovo farmaco

Linfoma non Hodgkin, possibile svolta: ecco il nuovo farmaco
Il linfoma follicolare, la forma più comune di linfoma non Hodgkin a crescita lenta, è un tumore del sangue non curabile, caratterizzato da cicli di remissione e...

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Il linfoma follicolare, la forma più comune di linfoma non Hodgkin a crescita lenta, è un tumore del sangue non curabile, caratterizzato da cicli di remissione e peggioramento della malattia, che diventa più difficile da trattare a ogni recidiva.


Al 58° Congresso dell’American Society of Hematology (ASH) a San Diego, è stato presentato lo studio registrativo di fase III GALLIUM, che dimostra come, nei pazienti colpiti da linfoma follicolare non precedentemente trattato, la molecola “obinutuzumab”, associata a chemioterapia e successivamente somministrata in monoterapia, riduca del 34 % il rischio di peggioramento della malattia o la morte, raggiungendo anticipatamente l’endpoint primario dello studio: sopravvivenza libera da progressione (PFS) valutata dallo sperimentatore.

«A oggi questo studio sul trattamento a base di obinutuzumab è il primo e unico di fase III ad aver dimostrato un aumento della PFS rispetto al trattamento a base di rituximab, l’attuale terapia standard, nel linfoma follicolare non precedentemente trattato», afferma Sandra Horning, M.D., Chief Medical Officer e Head of Global Product Development di Roche. GALLIUM rappresenta il terzo studio positivo di fase III condotto con “obinutuzumab”, dopo il CLL11, in pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (LLC) non precedentemente trattata, e lo studio GADOLIN, in pazienti con linfoma non Hodgkin indolente (a crescita lenta) andati incontro a progressione della malattia durante o entro 6 mesi dalla precedente terapia a base di rituximab.


I risultati dello studio GALLIUM verranno presentati alle autorità sanitarie di tutto il mondo per valutare l’approvazione del farmaco in questa indicazione. «I pazienti con linfoma follicolare hanno un’ottima probabilità di risposta alla terapia ma purtroppo le ricadute sono frequenti e si manifestano anche dopo parecchio tempo dalla fine della terapia - commenta il professor Umberto Vitolo, Direttore SC Ematologia, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino - Alcuni ampi studi hanno dimostrato che una recidiva entro i primi 2 anni dalla fine della terapia diminuisce la sopravvivenza di questi pazienti. E’ quindi importante ridurre il rischio di recidiva. Nello studio GALLIUM, la sostituzione di rituximab con il nuovo anticorpo monoclonale anti CD20 obinutuzumab ha dimostrato, sempre in associazione a vari tipi di chemioterapia, una riduzione del rischio di recidiva del 34%, probabilmente dovuta al raggiungimento di una remissione di miglior qualità».

(leggocaperna@gmail.com) Leggi l'articolo completo su
Il Mattino