Dice che va «in direzione ostinata e contraria». Letteralmente, usa e quasi si scusa nel fare suoi i versi di Fabrizio de André per descrivere la distanza tra...
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Da diciassette anni, per l'esattezza dal 19 agosto 2003, il giovane gestisce «Ti amo Maria» nella città francese da cui invece partì Antoine de Saint-Exupéry. E quel nome oltralpe, Maria, non indica una fata Morgana. Non la prima figlia e nemmeno sua madre. Non è il simbolo di un voto o invocazione religiosa. «Il ristorante si chiamava così, quando l'ho comprato: era dedicato alla nonna del mio ex datore di lavoro, Luigi. Mi sembrava originale...». Così è rimasto, reso universale. Liguori si dichiara soddisfatto: «Difficoltà ne ho avute poche, sinceramente. Certo, la lingua... Ma, nel giro di tre mesi, riuscivo a capire e a farmi capire anche perché ho iniziato subito a lavorare a contatto con la gente». Gioie? «Tante, mia moglie e i miei figli sono le più grandi: Chiara è arrivata nel 2008, Luca nel 2011 e Nina nel 2015, Mi fanno sentire in continua evoluzione, sono la mia più importante avventura». Suo padre, invece, è originario di Gragnano, il paese del panuozzo: partito per il capoluogo piemontese una prima volta nel 1962, per tornare subito sui Monti Lattari, e una seconda volta definitamente nel 1967; mentre la sua mamma è calabrese, di Lamezia Terme: ancora bambina, il trasferimento in Piemonte.
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«A loro devo tanto per i valori che mi hanno trasmesso e io cerco di restituire ai miei piccoli». Un'educazione fondamentale anche al gusto: «Sono innamorato della pizza e mi sono accorto che a Lione era poca la qualità proposta», Di qui l'idea di mettersi in proprio, proponendo ricette di amore presto apprezzate da una clientela mista: lavoratori del quartiere post-industriale e turisti che raggiungono Confluence, dove si uniscono i fiumi Saona e Rodano. «Prima del Covid, nel menu era previsto qualche altro piatto tipico come le braciole alla napoletana di mia nonna Teresa. Oggi solo pizza, anche perché c'è spazio per 30 posti a sedere con le restrizioni dovute al distanziamento dei tavoli». Meglio puntare sull'asporto: «Il futuro è un bel punto interrogativo, ma sono fiducioso», aggiunge Andrea, muovendosi senza paura. Un po' perché da anni pratica il kung fu, e poi perché pieno di passione e ironia: «Ho conosciuto Virginie, allora studentessa in Erasmus a Torino, e mi ha messo in valigia», racconta senza fermarsi. «Con tre figli e il locale non si può». Ma Liguori è in ottima compagnia: «Nella mia équipe lavorano Enrico, anche lui figlio di gragnanesi che conosco da quando sono piccolo e che a 40 anni ha deciso di fare questa esperienza francese. E Saad, un ragazzo nato a Vicenza da genitori marocchini. E Roberto, venezuelano, figlio di siciliani nato e cresciuto in Sud America che, per l'instabilità nel suo Paese ha deciso di cercare fortuna in Europa», li presenta, e il suo sguardo è già lontano. «Non ho nostalgia di casa o voglia di tornare». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino