Gennaro Mercogliano, se la fonderia storica di Napoli lotta contro il futuro

Gennaro Mercogliano, se la fonderia storica di Napoli lotta contro il futuro
Vico Tronari ai Cristallini (il toponimo deriva dalle fabbriche di fuochi d'artificio presenti un tempo in zona, in dialetto le trone) è una salita di panni stesi,...

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Vico Tronari ai Cristallini (il toponimo deriva dalle fabbriche di fuochi d'artificio presenti un tempo in zona, in dialetto le trone) è una salita di panni stesi, signore affacciate dalle finestre dei bassi e vasi di piante. Porta dritta a un'enorme cava di tufo che sovrasta la Sanità. Siamo a dieci minuti dai Vergini, ma la città da qui sembra lontana.

Macchine parcheggiate, santini appesi e luci al neon costruiscono un purgatorio tutto napoletano, dove regnano il silenzio e l'umidità. In fondo a tutto, uno squarcio si apre verso il cielo azzurro e la collina verde sovrastante. Qui dal 1940 c'è la Antica Fonderia Mercogliano dove si lavorano tutti i materiali non ferrosi: bronzo, ottone, alluminio, argento. Il luogo ha un fascino tutto ottocentesco. File di lingotti di bronzo, specchi, ostensori, ferri di cavallo, tizzoni di fuoco accesi. 

Il proprietario Gennaro Mercogliano ha 78 anni, è nato nella zona di Sant'Erasmo, «la zona portuale», ricorda. Ad aiutarlo ci sono Wladeck, polacco di 49 anni, e Adriano, 18enne napoletano di origini polacche che ha iniziato da poco a imparare il mestiere. Il nonno Luigi era un maestro fonditore, e pure suo figlio Michele. «Mio nonno era di San Biagio dei Librai, lavorava in uno sgabuzzino al fondaco San Gregorio Armeno n.14. All'epoca si facevano i ferri per i cavalli, gli articoli religiosi, le sculture. Mio padre, siccome lo spazio era poco, si trasferì qui. La cava era di proprietà di alcuni nobili. Le pietre con cui hanno costruito il borgo di Sant'Antonio Abbate vengono da qui».

Gennaro, come molti artigiani, iniziò che era quasi un bambino. A lui la parola insegnare non piace: «Se sei mariuolo con gli occhi, impari il mestiere», dice alla sua maniera. Dei suoi fratelli, uno è stato professore e l'altro ingegnere della Mec Font. A Gennaro il compito non facile di portare avanti l'azienda di famiglia. I suoi due figli, un maschio e una femmina, hanno preso strade diverse. Ma a fiancheggiarlo c'è Wladeck, metalmeccanico e fonditore sotto la guida esperta di Gennaro, dal 1996: «Ero venuto per sostituire un amico polacco per il periodo del servizio militare. Alla fine sono rimasto».

In questi giorni stanno lavorando a una partita di piedi per poltrone antiche. Wladeck mostra le diverse tecniche di fusione: a sabbia e a conchiglia. In fonderia ci sono tre forni, tutti costruiti a mano, con mattoni refrattari. Nella fusione a sabbia i pezzi si fanno uno alla volta. Setaccio, pressa, tenaglie, fumo e una colata di materiale incandescente. Gennaro borbotta mentre fa vedere l'arte della fusione ad Adriano che lo osserva con un'attenzione certosina. «Se non era per questo lavoro e con questo titolare, non sarei rimasto», incalza Wladeck. È faticoso? «Alle volte sì. Ma altre è come fare castelli di sabbia: è molto creativo». 

Osserviamo delle statuette in bronzo stile Pompei: «Ora le fanno in resina pittata. Qualche turista capisce la differenza di qualità e compra le nostre. Questi sono oggetti che durano per sempre». Ma non tutti ne capiscono il valore. «L'industria ci ha tolto molto lavoro. Per esempio, c'era un cliente di Bologna che ordinava basette per candelabri. Un giorno ce ne ha fatta vedere una già rifinita e dorata che costava molto di meno delle nostre. Veniva dall'India».

Oltre alla produzione di articoli semilavorati pronti per l'assemblaggio, si fondono anche oggetti per conto terzi: molti scultori hanno attraversato questo luogo misterico che sembra uscito da un racconto di Dickens. «Dopo di me forse dovrai continuare tu...», dice Gennaro. «Così sembra», risponde Wladeck con un sorriso. La sua voce crea un'eco nel silenzio della cava. 

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Il Mattino