Napoli ti prende, non c'è niente da fare. Chiedetelo a Luis Vinicio, che a malincuore salutò casa sua in Brasile per fare tappa a Napoli. Qui sposò donna...
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Vinicio e Napoli, un legame di passione, viscerale: il comandante Lauro testimone di nozze, gol a grappoli quando o Lione infiammava lo stadio del Vomero, i tifosi ai suoi piedi, un'esperienza ancora più forte da allenatore, il primo a importare nel nostro campionato il gioco totale all'olandese, la zona quando nessuno aveva il coraggio di abbandonare il catenaccio. È a Posillipo la sua vita da sempre: oggi ritrova gli amici di sempre, Barone, De Vivo, Rivieccio.
Gli interpreti di quel magnifico giocattolo che cambiò il calcio italiano negli anni Settanta, con Totonno Juliano in testa, il capitano e il leader di quella squadra che nel '75 si vide scippare il tricolore da Altafini core ngrato. E naturalmente la famiglia al completo, i due figli Mario e Marco, le nuore Lia e Rossana e i quattro nipotini. «L'unica cosa che mi è mancata qui è stato lo scudetto, quella volta avremmo meritato noi perché fummo i soli ad avere il coraggio di rivoluzionare il modo di giocare».
Un centinaio gli invitati: in chiesa per la funzione religiosa e poi il pranzo per amici e parenti da D'Angelo in via Aniello Falcone, lì il panorama è una cartolina che Luis tiene impressa nella mente da sessant'anni. «Il mio destino è qui, non lascerò mai Napoli». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino