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Chiede aiuto perché stanca e arrabbiata: «Mio figlio mi dà la forza, ma quanto è faticoso anche farlo studiare ai tempi del Covid. Si può raccontare questa storia?» Manuela Udito, 38 anni di Pianura, non è una mamma come le altre: ha già perso un bimbo e ne ha poi avuti tre, tutti insieme. Tre gemelli. Ma il parto è avvenuto al sesto mese di gravidanza e uno di loro, al momento della nascita, ha subito una paralisi cerebrale. «Per questo. Samuele non parla, non cammina. E i suoi spostamenti sono complicati anche da fattori esterni: la casa si trova al secondo piano senza ascensore, i marciapiedi spesso sono impraticabili». La spensieratezza dell'infanzia, dunque, va conquistata metro quadrato dopo metro quadrato. «Ogni volta bisogna trovare luoghi senza scale, porte adeguate al passaggio della carrozzina, bagni attrezzati per disabili e l'elenco degli ostacoli è lungo: l'uscita può diventare un'odissea, nonostante le leggi a tutela dei più fragili».
In origine, la lotta per l'abbattimento delle barriere architettoniche nel suo quartiere spinge Manuela a fare da ariete, a creare un comitato e, nel 2019, un'associazione. La battaglia resta, tuttavia, quotidiana. All'ordine del giorno. L'ultimo caso: «L'elevatore alla Palasciano è fermo da dicembre, in attesa della manutenzione che non dipende dalla scuola. La classe di mio figlio si è trasferita in un'aula al pianterreno affinché anche lui possa comunque partecipare alle lezioni». Solo che, tra zona rossa e quarantena dovuta al picco di contagi, sono più i giorni previsti in Dad che in presenza. «In realtà, il mio bimbo potrebbe frequentare l'istituto a prescindere, proprio perché disabile», chiarisce la madre. «Ma è in classe con un fratello gemello: come posso spiegargli il trattamento differenziato?» Di qui la soluzione fai-da-te: «Con i fondi raccolti attraverso la onlus, pago un assistente al mattino per i compiti, visto che Samuele da solo non può neppure accendere il computer.
La 38enne tenta lo stesso di trasformare il dramma in fiaba. Con la onlus denominata «C'era una volta il principe Samuele», verbo imperfetto che non cancella il sogno. «Vorrei costruire un castello in un bene confiscato ai clan, dove mio figlio insieme con gli altri bambini, disabili e no, possa divertirsi perché anche giocare non è affatto scontato: nel parco Attianese c'è un'unica altalena accessibile, acquistata grazie alla donazione di un'altra associazione». Poi ci sono le barriere culturali. «Ho scritto una favola con disegni illustrati per far avvicinare gli altri bimbi alla disabilità e respingere la paura della carrozzina. Invece, a me stessa dico che tutto passa, lo ripeto dal primo tragico momento, 11 anni fa, quando ho perso Andrea e i gemelli sono stati in fin di vita e, dopo, durante le operazioni e i ricoveri di Samuele, il coma di mia madre, quando la luce in un tunnel mi è apparsa sempre più lontana». Una prospettiva dettata dalla necessità. «Purtroppo, le cose brutte durano più di quelle belle», sostiene Manuela, che indica, tra i momenti fugaci, di non trascurabile felicità, «quando i bambini sono alle giostre e non vogliono rientrare e mi chiedono: È volato il tempo, perché è già finito? Quegli attimi sono preziosi e vanno custoditi anche per ricordarsene nei periodi bui, e aspettare che tornino quelli luminosi». Udito combatte pure contro la disperazione dovuta alla condizione clinica del bambino che non ammette guarigione ed è aggravata dal diabete di tipo 1. Così, nel 2013, Samuele viene iscritto in lista agli Spedali civili di Brescia per la terapia sperimentale con le cellule staminali proposta con il metodo di Davide Vannoni, poi bloccato da scienziati, inchieste, processi. «Il pensiero della morte continua ad accompagnarmi», dice sottovoce la mamma, lasciando intuire la vertigine che si prova nel precipitare, il senso di vuoto e l'estrema solitudine. «Con l'emergenza sanitaria, il mio bambino deve continuare ad avere le stesse possibilità dei suoi coetanei», ribadisce. E alza il dito, invocando soccorso.
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