Benedetto Croce ebbe un legame con «Il Mattino» fin dai primi anni della sua fondazione. Il tramite fu Matilde Serao, più che Edoardo Scarfoglio, col quale pure...
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La Serao era conscia dell'inclinazione del Croce per lei, ed ancora nel 1909 gli scriveva, per inciso, nel fluire delle considerazioni più propriamente letterarie e giornalistiche: «Io ho sempre ragione di esservi devota per tante prove di illuminata simpatia che mi date». E la solidarietà umana doveva essere stata intrinseca, come ci mostra una lettera del novembre 1896: «Egregio amico, io ho bisogno oggi di cinquecento lire in prestito per fare fronte ai miei pagamenti settimanali: ma non posso restituire questo danaro prima del 10 gennaio, che è il tempo dei nostri maggiori larghi introiti. Volete farmi questo favore? Ho esitato un poco prima di scrivervi, perché mi duole assai di seccare: ma la mia funzione di amministratrice mi procura talvolta questi pesi e io conto che intenderete quanto io mi scusi, con voi, di tale noia...». Croce segnava in calce alla richiesta: «mandate lire 300». Ma più che per questo amichevole scambio di favori, la lettera merita di essere citata quale documento di quanto fosse, anche allora, fragile la tenuta di imprese giornalistiche di natura indipendente, come era quella de «Il Mattino», e come ad essa venisse un sostegno estemporaneo dalla società che le circondava, più diretto di quello di oggi. Croce scrisse su «Il Mattino», a partire dal 1894, lettere al direttore e brevi note su cose napoletane. Alcune delle quali corrono parallele ai temi svolti in «Napoli nobilissima», la rivista di memorie storiche e di storia dell'arte che in quegli anni redasse con Salvatore di Giacomo, Giuseppe Ceci e altri.
Sono frammenti, anche di notevole valore erudito e storico poco conosciuti, talvolta neppure segnalati dalla Bibliografia crociana del Borsari, che forse varrebbe la pena raccogliere. Per accennare solo ad alcuni esempi, ricordiamo la nota su «I nomi delle vie» («Il Mattino», 9-10 ottobre 1984), «La tomba di Vittoria Colonna. Lettera a Gibus» (lo pseudonimo della Serao, 4-5 gen. 1895), «Duelli nel Seicento» (20-21 ottobre 1985); o ancora, tra le recensioni, quella alle ricerche di Vittorio Spinazzola sugli avvenimenti del 1799 (26-27 sett. 1899). Invero Croce aveva esordito con uno scritto più impegnativo sul Giudizio estetico (10-11 dic. 1984), considerazioni tratte dal libro che allora pubblicava col titolo La critica letteraria, ferma ripresa del metodo critico desanctisiano, in polemica con il professore Bonaventura Zumbini ed in genere con la critica letteraria che allora veniva insegnata nell'Università di Napoli. L'articolo fece scalpore ed ebbe seguito clamoroso. Il professor Trojano, allievo dello Zumbini, sfidò a duello il Croce, ravvisando in quello scritto elementi offensivi. Dopo lunga discussione i padrini delle due parti in causa dichiararono di non aver trovato nel testo del Croce intenzioni lesive dell'onore dello Zumbini. La cosa sarebbe finita lì, se uno dei padrini del Croce, il duca Riccardo Carafa d'Andria, non avesse fatto girare la voce che aveva fatto di tutto per evitargli quel duello, essendo egli «digiuno di qualsiasi nozione schermistica e per di più minorato alla gamba destra per la tragica avventura sofferta nel terremoto di Casamicciola, dodici anni prima». Poteva sembrare così che il filosofo avesse avuto paura ad accettare la sfida. Il Croce, offeso molto più per le dicerie del suo padrino che per le espressioni del Trojano, sfidò a sua volta il duca d'Andria. Questi era un esperto schermitore, come molti giovani nobili del tempo. Il filosofo non aveva mai impugnato un'arma in vita sua e dovette andare a prendere lezioni di sciabola, prima di scendere sul terreno.
Gli fu maestro il grande schermitore Almerico Melina, che così lo descrisse: «lento nei movimenti fisici, come agile nei movimenti di pensiero». All'alba del 25 aprile 1895 un coupé chiuso, tirato da una pariglia di morelli, condusse Croce, vestito di nero, insieme ai suoi padrini, nel viale di una villa di Portici. «Carafa d'Andria dovette faticare a parare i valenti assalti di Benedetto, poi abilmente riuscì a ferire solo lievemente la guancia sinistra del filosofo». Bastò perché i padrini ponessero fine al duello e seguisse la stratta di mano tra i contendenti. Così il giorno seguente «Il Mattino» riportava il verbale dello scontro in poche righe. Dopo il 1910, come si è accennato, la familiarità di Croce con «Il Mattino» venne meno, sebbene egli non trascurasse le testate napoletane, da «La settimana», a «Flegrea» alla «Diana» di Gherardo Marone. Dopo il 1944, per i suoi interventi giornalistici Croce privilegiò i fogli liberali, come il «Giornale di Napoli» e «Risorgimento liberale». Ma le cronache politiche e culturali del «Mattino» tornarono in sintonia con l'opera ed anche l'attività politica intensa che allora egli svolgeva e non mancano nella corrispondenza di Croce testimonianze di questa ritrovata intesa, che idealmente non è più cessata anche dopo la sua morte. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino