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Il Global Burden of disease (documento della World health organization) annovera tra le 10 malattie maggiormente invalidanti al mondo, ben tre patologie neurologiche: demenze, stroke e cefalea. Gioacchino Tedeschi, direttore della Clinica neurologica dell'azienda ospedaliera universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli, spiega che «l'incidenza e la prevalenza di queste patologie sta cambiando, ad esempio lo stroke ha un'incidenza minore grazie alla prevenzione, mentre la prevalenza è aumentata grazie al miglioramento delle cure della fase acuta». Inoltre, incidenza e prevalenza della malattia di Alzheimer o di altre demenze aumenteranno a causa dell'incremento della vita media.
Facile prevedere che, negli anni a venire, il numero delle malattie neurologiche, e non solo quelle legate all'invecchiamento, sarà sempre più alto. Queste premesse spingono a guardare con crescente attenzione alla complessità della neurologia e alle nuove sfide che questa pone.
«Oggi i neurologi sono chiamati a un lavoro sempre più articolato e complesso», fa notare il professore Tedeschi. «L'aumento delle conoscenze ha portato da un lato ad una maggiore capacità diagnostica, dall'altro a un numero sempre più ampio di terapie.
Ancora: «Nei prossimi anni potrebbero arrivare farmaci capaci di modificare il decorso della malattia di Alzheimer quando identificata nelle fasi precoci di malattia e per questo sarà ancor più importante far diagnosi precocemente. Le persone affette da demenza in Italia sono circa 1.200.000, cui si aggiungono circa 900.000 persone con decadimento cognitivo lieve, di cui una parte rilevante potrebbe evolvere verso una demenza. Anche se nel nostro paese esistono centri di riferimento per tutte queste malattie c'è bisogno di renderli più omogenei e più uniformemente distribuiti sul territorio nazionale, nonché di realizzare un miglior equilibrio tra ricorso ai centri di eccellenza e prossimità territoriale».
Dunque, qual è il giusto approccio? Tedeschi non ha dubbi: «Bisogna - afferma - distribuire meglio il lavoro tra i diversi protagonisti dell'assistenza, precisando chi fa cosa e dove lo si fa, in pratica riformando la rete ospedaliera e distribuendo il lavoro tra ospedali di I e II livello da una parte e ospedali di comunità, neurologi territoriali e medici di famiglia dall'altro. Tutto questo richiede sì il contributo dei decisori istituzionali che dovranno identificare le diverse categorie di ospedali, organizzare il territorio e mettere in rete queste due componenti del sistema, ma anche una presa di coscienza dei medici che dovranno abituarsi alla gestione condivisa del paziente a seconda della fase e della complessità di malattia». Conclude l'esperto: «Fortunatamente, la pandemia ci ha introdotti all'uso della telemedicina e questo nuovo approccio dovrebbe facilitare l'interazione tra rete ospedaliera e territorio, nonché tra i diversi professionisti che in queste strutture operano».
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