Sei anni e rotti sono una vita. E questo fu il tempo lungo che mi vide in via Chiatamone, in quella stanza al terzo piano, con la porta sempre aperta. Nel mio primo editoriale da...
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Si capisce che i miei anni al «Mattino» sono stati vissuti come in una apnea infinita, costellata da gioie profonde e dalle ginocchia tremanti di emozioni. Riccardo Cassero, mitico redattore capo di quegli anni, uomo mite e leale, grande conoscitore del vasto e variegato mondo intorno al giornale, mi avvertì: «Direttore a Napoli quattro persone contano davvero: il sindaco, il cardinale, il prefetto e il direttore del “Mattino”, tenetene conto». Veniva dalla scuola degli Scarfoglio. Certo è che il quotidiano sulle cui pagine è passata metà della grande letteratura italiana, per non dire delle nobili firme del giornalismo nazionale, ha scandito nella sua storia ultracentenaria come l’osservatorio più attento e acuto verso il Mezzogiorno, configurandosi come un patrimonio culturale unico e insostituibile. L’aver vissuto sia pure in piccola parte quella storia mi riempie di orgoglio, venato di nostalgia. Ma mi soccorre una consolazione: del «Mattino» non si è mai ex, l’appartenenza quasi sentimentale alla testata è per sempre, così come al suo meraviglioso popolo di lettori. Auguri, ogni giorno: perché ogni giorno è il racconto di una intera vita vissuta. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino