«Quello che è successo in questi mesi ha aperto una prospettiva diversa sul percorso di studi in medicina. Ci si è resi conto che esistono alcuni aspetti sui...
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Professore, quali sono i maggiori cambiamenti ai quali si dovrebbe guardare?
«In primo luogo immaginiamo un maggiore sviluppo di quelle conoscenze che si muovono tra l'informatica e l'ingegneria e che danno una prospettiva diversa alla professione del medico. Penso ad esempio allo sviluppo della diagnostica per immagini e della radioterapia, alla robotica nella chirurgia generale o all'impiego di nuove protesi».
Un medico 2.0, insomma?
«Certamente il medico di domani dovrà avere ottime conoscenze anche in ambito tecnologico. Ormai i device e le apparecchiature tecnologiche costituiscono parte integrante della medicina e il medico dovrà essere in grado di mettere assieme questi aspetti hi-tech con quelli classici della formazione in medicina».
Quale altro insegnamento da questa pandemia?
«Mi aspetto un ritorno ad una parte della medicina che è stata trascurata, ovvero l'infettivologia. È chiaro che lo sviluppo delle scienze mediche è andato nella direzione giustissima della terapia delle malattie neoplastiche e di un altro grande problema che sono le malattie cardiovascolari. Ora si è capito che bisogna farsi trovare preparati anche sulle malattie infettive e su tutto ciò che ad esse è connesso. In questo senso il Covid ci ha insegnato molto, facendoci comprendere quanto sia importante farsi trovare preparati. Anche tutta la parte legata all'epidemiologia e all'igiene, che oggi è lasciata ad una parte troppo limitata di colleghi, dovrà seguire un approccio differente. Sia sotto il profilo epidemiologico che organizzativo servirà un maggior coinvolgimento di tutta la classe medica e non solo di chi oggi si occupa di questi aspetti».
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Il Mattino