Conoscere meglio la “Malattia di Fabry”

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Tra le malattie da accumulo lisosomiale c’è anche la malattia di Fabry. Come anticipato sul portale del network editoriale PreSa, nel caso della malattia di Fabry...

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Tra le malattie da accumulo lisosomiale c’è anche la malattia di Fabry. Come anticipato sul portale del network editoriale PreSa, nel caso della malattia di Fabry è la carenza dell’enzima “alfa galattosidasi A” a portare danni a livello renale, cardiaco e del sistema nervoso. Per questo motivo i pazienti vengono colpiti con il tempo da complicanze di natura renale, cardiaca, cerebrovascolare o anche da una combinazione di tutti questi problemi. Ed è per questo che è fondamentale avere una diagnosi precoce. Ma come si trasmette la malattia di Fabry e quali sono le possibilità di cura? Lo abbiamo chiesto a Renzo Mignani, dell’Unità operativa di Nefrologia e Dialisi dell’ospedale “Infermi” di Rimini. «È una malattia ereditaria – spiega – legata al cromosoma X. Le madri eterozigoti hanno ad ogni concepimento una probabilità del 50% di trasmettere il gene di- fettoso ai propri figli, indipenden- temente dal sesso del nascituro. Mentre i padri, con la malattia di Fabry, non trasmettono il gene difettoso ai propri figli maschi, ma solamente alle figlie femmine. In genere sono i maschi a sviluppare la malattia in maniera più grave, ma questo non significa che le donne si debbano considerare “portatrici sane”». Se si interviene in tempo si può garantire ai pazienti una discreta qualità di vita. «Ormai da 20 anni – chiarisce Mignani – si utilizza la cosiddetta terapia enzimatica sostitutiva, che consiste nella somministrazione dell’enzima ricombinante deficitario. Tale terapia viene somministrata per in- fusione endovenosa, due volte al mese, con sedute che a seconda dei farmaci durano circa da una a tre ore». Semplificando, questa sostanza riesce a prevenire, stabilizzare o rallentare la progressione della malattia a seconda della precocità con cui viene iniziata. Mignani spiega anche che da circa tre anni esiste una tera- pia orale, che tuttavia è adatta solo ai pazienti che producono una quantità, seppur minima, di enzima. La terapia “chaperonica” riesce in questi pazienti a ristrutturare l’enzima residuo, consentendo la ripresa della funzione. In futuro, anche la terapia genica potrebbe rappresentare una possibilità concreta, in grado di modificare direttamente il difetto del gene. Le cellule così modificate vengono poi reintrodotte grazie ad un virus vettore. «È verosimile credere che di qui a dieci anni – conclude Mignani – sarà possibile arrivare alla guarigione dalla malattia di Fabry».


Il quadro clinico della malattia di Fabry comprende un am- pio spettro di sintomi e segni, che varia dalle forme lievi a forme più acute. I pazienti possono presentare tutti i segni tipici della malattia a livello neurologico (dolore), cutaneo (angiocheratoma), renale (proteinuria, insufficienza renale), cardiovascolare (cardiomiopatia, aritmia), co- cleovestibolare e cerebrovascolare (ictus, episodi ischemici transitori). Le donne possono presentare manifestazioni cliniche da lievi a gravi. Il dolore è un sintomo comune precoce (dolore cronico caratterizzato da parestesia con bruciore e prurito e rare crisi episodiche caratterizzate da dolore acuto con senso di bruciore). Il dolore può risolversi nell’età adulta. Possono insorgere anidrosi o ipoidrosi, che causano intolleranza al calore e all’esercizio. Altri segni clinici sono l’angiocheratoma, le alterazioni della cornea, il tinnito, l’affaticamento cronico, le anomalie cardiache e cerebrovascolari (ipertrofia ventricolare sinistra, aritmia, angina), la dispnea e la nefropatia. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino