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Viviamo nella società digitale, immersi in una comunicazione completamente diversa da quella alla quale eravamo abituati. Tutto accade online, in diretta. Non esiste più il tempo della riflessione. I fatti accadono, e determinano contestualmente anche il giudizio su quello che vediamo, o leggiamo. A volte i fatti accadono perché è la dimensione digitale che mette in moto meccanismi di attivazione delle energie e della partecipazione: così avvenne qualche tempo fa, con le primavere arabe.
Un giornale con una storia secolare, come Il Mattino, sfida se stesso perché deve essere partecipe della contemporaneità: il restyling del sito diventa un modo per dialogare con i lettori, per aggiornarsi con i canali di comunicazione delle nuove generazioni e con gli strumenti digitali che ormai usiamo tutti, in modo più o meno maldestro. Questo lavoro è di particolare rilievo nella nostra società meridionale, che sta vivendo un nuovo divario – quello digitale – che si affianca alle tradizionali divergenze che ci separano dal resto del Paese e dell’Europa.
Non possiamo non interrogarci su questa trasformazione. Sono trascorsi quindici anni dalla introduzione sul mercato degli smartphones. Nello stesso anno - il 2007 - in cui cominciava la serie di crisi consecutive del capitalismo finanziario, iniziava anche la storia del prodotto che ha generato la rivoluzione digitale diffusa, quella che sta nelle nostre mani ogni giorno, per tanta parte del nostro tempo. Ha scritto recentemente Helga Nowotny: «Stiamo imparando a vivere assieme a dispositivi digitali con i quali interagiamo allegramente come se fossero dei nuovi parenti, dei nostri altri digitali, mentre conserviamo una profonda ambivalenza nei confronti loro e del complesso tecno-industriale che li produce».
Quindici anni sono un tratto di storia davvero breve, eppure dentro questo fazzoletto di tempo si è condensata da un lato la rivoluzione tecnologica della digitalizzazione e dall’altro la crisi profonda del capitalismo neoliberista, che aveva dominato l’organizzazione sociale a partire dagli anni Ottanta del secolo passato.
Oggi, a distanza di meno di due decenni dall’inizio della rivoluzione digitale, siamo immersi dentro una dimensione che sta cambiando tutte le coordinate con le quali sono stati costruiti i modelli di organizzazione economica e sociale, i nostri giudizi ed i nostri valori.
La percezione del tempo sta cambiando radicalmente.
L’egemonia digitale si è affermata nelle caratteristiche del linguaggio, nei sistemi di relazione sociale, nella comunicazione politica, nelle modalità di generazione del valore, nelle tecniche di pubblicità e di marketing, nella architettura della costruzione economica, nella gestione del tempo libero. Non c’è spiraglio del nostro tempo che non sia ispirato o condizionato dalle tecniche della digitalizzazione. Oggi esiste solo un intervallo sempre più breve tra un atto di digitalizzazione e l’altro. Durante la giornata compulsiamo continuamente lo smartphone, per controllare se siano intanto arrivati messaggi sui social, email, comunicazioni su WhatsApp.
Domani saremo immersi consecutivamente nell’ambiente digitale, senza nemmeno un respiro che possa separarci da un ambiente nel quale saremo collocati come la nostra dimensione naturale. Con ogni probabilità dovremo solo, di tanto in tanto, staccarci dalla dimensione digitale per annusare quello che accade nella realtà analogica. Il mondo reale sarà l’intervallo di una piena immersione della digitalizzazione.
Allora, guardiamo con attenzione ed interesse alla nuova proposta de Il Mattino. Sarà un ponte verso la contemporaneità e verso i lettori, per combattere la nuova battaglia culturale che viviamo nei nostri tempi: quella contro le fake news, contro una informazione distorcente che tende ad imprigionare l’opinione pubblica dentro la gabbia di un nuovo conformismo. Un tempo, nelle scuole gli studenti avevano in tasca i giornali. Ora, dentro lo smartphone, possono compulsare le notizie. Sarà fondamentale che lo facciano con lo spirito critico indispensabile per far crescere cittadini consapevoli.
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