«Salvare i reni si può, basta un semplice test»

«Salvare i reni si può, basta un semplice test»
Ora più che mai serve coscienza dell'importanza della prevenzione. Fare un check-up annuale con analisi di routine è un modo per favorire una migliore...

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Ora più che mai serve coscienza dell'importanza della prevenzione. Fare un check-up annuale con analisi di routine è un modo per favorire una migliore qualità di vita, ma determina anche un risparmio economico perché azzera o almeno riduce drasticamente le spese per la chirurgia e quelle per il decorso post-operatorio. E invece, c'è una pericolosa riduzione delle diagnosi precoci, a causa dei controlli mancati durante la pandemia, già segnalata da tante società scientifiche. All'attenzione degli specialisti arrivano casi di neoplasie più gravi rispetto a quanto accadeva prima dell'emergenza Covid. A ribadirlo è Rocco Papalia, professore associato di Urologia all'Università Campus Biomedico di Roma. 

Professore Papalia, come avviene la diagnosi di tumore del rene?
«Nella maggior parte dei casi, la diagnosi avviene in una fase molto precoce grazie ai controlli. Si parla, infatti, di diagnosi occasionale, nel senso che in corso di accertamenti di routine, quali un'ecografia addominale, si riscontra una neoformazione al rene».

Poi, cose si interviene?
«Fra i tumori renali, una piccola parte dei tumori è benigna, da cui naturalmente si guarisce al 100 per cento. Ma, grazie alla diagnosi precoce, anche i tumori maligni operati precocemente raggiungono un elevatissimo tasso di guarigione».

Quali sono le strategie terapeutiche per la cura delle neoplasie renali?
«Il trattamento principale delle neoplasie renali è rappresentato dalla chirurgia che oggi viene eseguita con tecniche mini invasive che consentono un rapido recupero. Anche nella chirurgia del rene oggi si cerca di salvare il più possibile l'organo, un'inversione di tendenza rispetto al passato, in cui invece si eliminava del tutto, per essere certi della scomparsa della malattia».

A cosa si deve questo cambio di protocollo?
«Il concetto fondamentale è che bisogna sempre cercare di risparmiare il rene, indipendentemente dalle dimensioni del tumore, perché si è visto che l'asportazione del rene comporta un aumentato rischio di insufficienza renale cronica e, di conseguenza, un aumento della mortalità per patologie cardiovascolari».

Che tipo di tecniche si adoperano?
«Per preservare il più possibile il rene, al Campus Biomedico eseguiamo una tecnica chirurgica mini invasiva che non prevede la chiusura dell'arteria renale durante l'intervento chirurgico. Questo consente di evitare il danno ischemico, che di fatto rappresenta l'unico fattore che il chirurgo può modificare al fine di garantire un miglior funzionamento del rene preservato e quindi della funzionalità renale in generale. E questo aspetto è particolarmente importante per i pazienti con un solo rene che più degli altri posso andare incontro a un'insufficienza renale rapida e progressiva».

In questo è di aiuto la diagnosi precoce?
«Sì, purtroppo l'unico caso in cui non è possibile salvare il rene è quando la diagnosi arriva in maniera tardiva e il paziente riferisce di aver avuto episodi di sangue nelle urine».

Perché?


«Se questo avviene significa che la malattia ha infiltrato la via urinaria e risparmiare il rene non garantirebbe una azione radicale di tipo oncologico per vincere la malattia».   Leggi l'articolo completo su
Il Mattino