Ale Zin, il rap del tassista: in anteprima il video di "Panama 11"

Ale Zin foto di Gaetano Massa
Dal supergruppo alla voglia di avventure soliste. Speaker Cenzou ha appena pubblicato il singolo «New slanc» per annunciare l’edizione del ventennale del suo...

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Dal supergruppo alla voglia di avventure soliste. Speaker Cenzou ha appena pubblicato il singolo «New slanc» per annunciare l’edizione del ventennale del suo album d’esordio, «Bambino cattivo». Dj Uncino aspetterà ancora una settimana per far uscire «Galleon», il suo esordio solista chiamando a raccolta vecchia e nuova scuola dell’hip hop rap newpolitano: La Famiglia, 99Posse, Clementino, Rocco Hunt, Valerio Jovine, Paura, Lucariello, Domasan, Fuossera, Dope One, Ganjafarm Cru, Fabio Farti, Emcee ‘O Zi’, Patto Mc, Oyoshe, La Pankina Krew, Ciccio Merolla, Capeccapa, Pepp Oh, Valerio Nazo, Skarraphone, Uomodisu, Prio’, Kayaman, Oluwong, oltre naturalmente ai fratelli Sangue Mostro. Dalle cui fila arriva, come lui, come «Vincenzone di piazza San Gaetano», anche Ale Zin, arrivato nei negozi con «Panama11», titolo rubato alla sigla del taxi che guida da un anno, e che, al contrario di Uncino, dimostra una voglia di fare tutto da solo, promettendo, e a tratti mantenendo la promessa, «flow monumentali, non ne fanno più così».

 


«Ho sempre lavorato in collettivo, sin dai tempi gloriosi dei 13Bastardi», ricorda il rapper, classe 1979, all’anagrafe Alessandro Zingone, «ed ora era arrivato il momento di fare tutto da solo, o quasi. I beat sono perlopiù di Breakstarr, quando si sente una voce femminile è la mia ragazza, Nancy. Non devo prendere distanze da nessuno, anzi sono pronto per il prossimo cypher, per la prossima jam session con microfono aperto, per ritrovarmi con gli amici di sempre. Ma c’erano cose che volevo dire alla mia maniera e l’ho fatto, usando la mia lingua, il dialetto, come l’italiano. Tornando ai ritmi originali del Bronx ma inseguendo anche i groove dei nostri tempi, puntando ad affinare il mio stile, il mio suono, il mio rimario».

Senza bisogno di definire il campo d’azione («non è un disco underground, né mainstream. Non è di nicchia, ma nemmeno pop»), Ale Zin si muove sicuro, forte degli oltre tre lustri spesi sul campo: «Vengo da Pianura, illuminato dai Public Enemy verso il 1996 sono sbarcato al centro storico fermando quelli che mi rassomigliavano: non eravamo molti all’epoca a Napoli con i pantaloni larghi e le felpe. Il primo freestyle lo ricordo ancora, come i primi incontri importanti: con Tony Joz, con Sandrone Ekspo poi sempre al mio fianco, dai 13Bastardi sino ai Sangue Mostro».


«Non chiamatemi leggenda, tutt’al più sono un presagio», rappa, prima di aggredire i «nemici» al grido di «M’adda muri’ stu flow»: «Over low» è un dissing, se la prende con Casti’, anche lui nei 13Bastardi, e ‘O Kiatt. «Abbiamo conti aperti: li ho chiusi alla mia maniera», spiega lui, che non insegue il politically correct, parla di vita di strada, anzi di vicolo, di sesso libero («Uomini e donne»), di erba («Ganja ninja»). Tassista da un anno come raccontato in passato dal singolo «Taxi rhymer», Ale Zin è uno storyteller verace alla ricerca di un nuovo bloc party. Intanto, per reclare il proprio diritto al party giusto, basta salire a bordo della sua macchina, del suo disco, del suo flusso di versi e beat. Sempre persi nella giugla metronapoletana, si intende. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino