Dentro e fuori dal Pd si accende il caso Ballarò. Dopo che in un'intervista a La Stampa il deputato dem, Michele Anzaldi ha chiesto il licenziamento del...
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«Hanno mandato a casa Azzalini per molto meno», ha detto Anzaldi riferendosi al manager licenziato per aver anticipato il conto allo rovescia del Capodanno di Rai1. Una reazione forte che non è piaciuta alla minoranza del Pd: «Le pagelle ai giornalisti lasciamole fare a Grillo e Berlusconi. Il Pd è e deve restare sempre dalla parte della libertà di informazione», dice Roberto Speranza. Sulla stessa linea anche Pippo Civati (Possibile) e M5S.
Ma all'interno del partito democratico non manca chi si schiera al fianco di Anzaldi. «Michele Anzaldi fa bene il suo lavoro di segretario della Vigilanza. Incredibile è chi difende le ingiurie ad un ministro a Ballarò. Beppe Grillo che parla di olio di ricino, probabilmente si riferisce a quello che usa giornalmente contro la Rai», dice il senatore del Pd Andrea Marcucci, presidente della commissione Cultura a Palazzo Madama. Ernesto Carbone, della segreteria nazionale del Pd, sottolinea: «Ero in studio, sono rimasto colpito anche io dal riferimento al rapporto incestuoso a Ballarò».
Ferma la reazione del Comitato di redazione di Ballarò che esprime «indignazione per l'ennesimo attacco intimidatorio del deputato del Partito democratico Michele Anzaldi e di alcuni suoi compagni di partito al talk di Rai 3. Ancora una volta si trovano argomenti pretestuosi per delegittimare la trasmissione e il conduttore Massimo Giannini».
«Si tratta - prosegue la nota - dell'ennesimo episodio avvenuto anche in questa stagione: di volta in volta l'occasione riguarda un tema sgradito che interferisce con le strategie governative o l'intervista a un rappresentante dell'opposizione o a un esponente non allineato della società civile. È un palese e grave attacco alla libertà di informazione sancita dalla Costituzione, della quale tutte le istituzioni repubblicane, a cominciare dal Parlamento, dovrebbero essere garanti. Ci aspettiamo quindi che le autorità istituzionali e il sindacato dei giornalisti facciano sentire le loro voci contro questo metodo che ricorda i tempi più bui per il giornalismo e la nostra storia nazionale». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino