La coincidenza è diabolica, a volte illuminante. Se Dario Fo aveva dato corpo al Nobel, aveva aggiunto carne alla letteratura, Bob Dylan gli dà voce, la sua, quella...
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Dylan, da anni candidato al premio, ha già portato a casa l'Oscar, e continua a girare il mondo con il suo "Neverending tour", biascicando canzoni che conosciamo a memoria, eppure fatichiamo a riconoscere sin dall'inizio, nella sua mania di cambiarle, di cambiare lui ancor prima della sua musica. Uno, nessuno e centomila, a spiegare perché il suo canzoniere sia davvero uno dei libri più importanti del passato secolo, capace di farsi amare anche oggi, e domani, e poi chissà, viene in soccorso Allen Ginsberg che, solomonico, annotò: "Bob ha messo l'arte nel jukebox". Se ne sono accorti anche a Stoccolma, anche se il juke-box è ormai roba da collezionisti, anche se non c'è bisogno di definire "espressione poetica" "Chimes of freedom" e "All along the watchtower": dentro c'è poesia certo, ma anche molto di più, e molto di meno. C'è una voce che soffia nel vento, come le domande che non hanno mai avuto risposte. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino