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Dopo il collegamento con il presidente Zelensky durante il galà di apertura, al festival si torna a parlare di Ucraina in fiamme con il regista dissidente russo Kirill Serebrennikov, che ha sperimentato sulla propria pelle i metodi del regime di Putin. A lungo agli arresti domiciliari con l'accusa di una presunta distrazione di fondi pubblici, nelle passate edizioni Serebrennikov non aveva potuto accompagnare in gara i suoi film «Summer» e «L'influenza di Petrov». Oggi è esule a Berlino e il suo film «Tchaikovsky's Wife» è riuscito a entrare nella selezione ufficiale, nonostante l'esclusione degli autori russi decisa da Frémaux, perché girato prima dello scoppio del conflitto. «Questa guerra è un disastro, una tragedia, un suicidio reso possibile da anni di massiccia propaganda su giornali e tv di Stato» dice incontrando la stampa internazionale: «È una tortura che deve finire». Da quando è cominciata l'invasione, che a Mosca chiamano «operazione militare speciale», gli autori russi contemporanei e classici sono stati banditi dai teatri e dai cinema di mezzo mondo. «Quello che sta accadendo è insopportabile e capisco che si voglia boicottare chi parla la lingua degli oppressori, ma cosa c'entra la cultura russa con la guerra? I grandi della letteratura, della musica, delle arti come Dostoevskij, Cechov, Tchaikovsky hanno sempre promosso i valori, i sentimenti e le fragilità dell'animo umano, la cultura è antitetica alla guerra e boicottarla è totalmente sbagliato».
L'Accademia del cinema ucraino, che già aveva protestato contro il titolo della commedia zombie di Hazanavicius «Z» (poi cambiato in «Coupez!»), perché poteva rimandare alla lettera incisa sui carri armati russi, ha contestato anche Serebrennikov, accusato di usare fondi statali. «Non è vero, e poi va detto che fino a un certo punto il finanziamento statale in Russia non era affatto tossico» replica il regista, «sono state fatte buone cose con i soldi del ministero della Cultura, in teatro e nel cinema». Il suo film sul tormentato rapporto di Tchaikovsky con la moglie Antonina è stato finanziato dall'oligarca Roman Abramovich, tra i colpiti dalle sanzioni anti-Putin: «Abramovich è un mecenate, è anche grazie a lui e alla sua fondazione che si è potuto realizzare il miglior cinema russo degli ultimi anni.
Il regista, 52 anni e una madre ucraina, è grato a Cannes («mi ha sempre sostenuto») e pensa di lavorare ancora sulla vita di Tchaikovsky e sul grande patrimonio culturale dell'Ottocento russo che ha nutrito il pensiero europeo: «Voglio continuare ad occuparmi di passioni, di dolori, di sentimenti, il cinema è una formidabile macchina del tempo». Intanto sta preparando un film sul personaggio di Limonov, dal romanzo best-seller di Emmanuel Carrère, prodotto da Wildside (gruppo Fremantle), e scritto con Pavel Pawlikowski e Ben Hopkins: «Sono cresciuto nel Sud della Russia quando è iniziata la Perestroika, Limonov all'epoca era una figura di riferimento per le giovani generazioni, una specie di rockstar di avanguardia. In un certo senso fa parte della mia vita».
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