Con il crowdfunding aveva raccolto 20.000 euro, ed aveva annunciato il «suo» festival nella «sua» terra ancor prima di sapere di essere rientrato tra gli...
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Facciamo a chi la spara più grossa, Vinicio?
«Spariamoci subito il miracolo: è miracoloso riesserci, aver convinto persino le istituzioni. Dietro lo Sponz ci sono mesi di lavoro, centinaia di volontari, l’entusiasmo di una comunità che abbiamo aiutato a risentirsi tale. Siamo piccoli, non c’è una grande organizzazione superprofessionale dietro questo miracolo, che riesce anche a superare storiche rivalità di campanile».
Vinicio santo subito, allora? Merito del genius loci?
«Noooo. Io, al massimo, sono un connettore, ho un ruolo di passaggio: questa terra è la loro terra, per dirla con Woody Guthrie, solo così posso sentirla anche mia. Ho restituito alle genti di questi paesi cose che sono già loro, ho immaginato una manifestazione che fosse radicata sul territorio ma pronta al dialogo con l’esterno, l’estero».
Nel 2014 avevi intitolato la seconda edizione «Mi sono sognato il treno», ora il treno torna a viaggiare sulla tratta Rocchetta-Conza.
«Se non è un miracolo questo... Una locomotiva e carrozze di inizio Novecento, un percorso ritrovato, una stazione riaperta non più solo per i concerti serali, i pendolari di ieri che ricordano, i ragazzi che non sanno nemmeno che un giorno i loro genitori avevano un treno, una stazione... Purtroppo è un miracolo a scadenza, passato lo Sponz richiude tutto, ma chissà, da queste parti sono. anzi siamo, cocciuti e...».
Il 27 agosto allo stadio di Calitri, ribattezzato Sponz A-rena, unica tappa campana del «Polvere tour», dedicata a uno dei due volti del doppio album «Canzoni della Cupa». Una sorta di ritorno a casa, visto che tutto è nato qui.
«Si, un ritorno sul luogo del delitto, con Giovanna Marini come nume tutelare».
Ecco, una come Giovanna, che del folk revival ha fatto una ragione di vivere e non solo un nobilissimo mestiere, come giudica il tuo rapporto anarchico con il repertorio popolare?
«Io non sono un ricercatore, forse nemmeno un trovatore. Durante il lunghissimo periodo di gestazione di questo disco, iniziato nel 2003, mi è capitato di farlo ascoltare alla Marini e di chiederle che cosa ne pensasse. Lei mi ha risposto schietta: “Grande, noi stavamo a discutere per mesi su cosa fare e come fare. Tu invece crei, canti, vai. Bravo».
Erano gli anni del folk revival diviso tra linea rossa e linea verde, militanza fedele alla linea o apertura al mercato...
«Per me erano gli anni di Giovanna, di Matteo Salvatore, di Otello Profazioni, di quanti hanno permesso anche a me di ascoltare le canzoni della cupa, di inventare suoni per antichi stornelli calitrani, di usare l’italiano dove c’era un dialetto ostico ai più: la lingua dell’alta Irpinia abita in una terra povera anche di parole, ridotta all’osso, che mi ricorda quella della terra della transumanza, delle basse Marche, dell’Abruzzo».
Che Sponz sarà? Come ci «sponzeremo»?
«Sudore e vino contribuiranno a bagnare corpi, anime, sogni, sessi. Diavoli incendieranno i borghi di Calitri, bande di mariachi risponderanno al richiamo degli stornelli irpini, alzeremo la polvere, spareremo la nostra polvere».
Una festa per quelle canzoni «bene comune recuperato»?
«Proprio così. E qui, dalle canzoni alla ferrovia all’orgoglio sono molti i beni comuni recuperati. Per una volta vincono i Coppoloni». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino