Crisi di idee o marketing? I film copiano i titoli delle canzone

Crisi di idee o marketing? I film copiano i titoli delle canzone
Da qualche tempo un cinema italiano in perenne crisi d'idea usa le canzoni copiandone... i titoli: l'ultimo (per ora) capitolo di questa storia è «Attenti al...

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Da qualche tempo un cinema italiano in perenne crisi d'idea usa le canzoni copiandone... i titoli: l'ultimo (per ora) capitolo di questa storia è «Attenti al gorilla» di Luca Miniero (in sala da domani), film in cui per l'autore che «il gorilla è la metafora di una diversità e di un'accoglienza con la quale dobbiamo fare i conti, oltre ad essere l'unico africano che vorrebbe tornare in Africa» ma, se gli si chiede quale sia il legame con la canzone di Brassens tradotta da De André del titolo, Miniero si limita a dire che «abbiamo scelto questo titolo perché è piacevole». Nella «commedia animalista», Frank Matano è un avvocato in rotta con l'ex moglie e collega Cristiana Capotondi, ha uno studio nel retrobottega del salone di estetica di Diana Del Bufalo (proprio come l'avvocato criminale Saul della serie «Better Call Saul»): legami con la canzone del titolo non sembrano essercene se non in una scena in cui Lillo, coinquilino di Matano travestito da gorilla, subisce le attenzioni sessuali del primate ospitato nella loro casa, evocando così quel giudice che, nella stessa situazione, «piangeva come un vitello e negli intervalli gridava mamma». Peccato solo che, poi, il gorilla canti invece «Gelato al cioccolato» di Pupo.

 
Ma perché i titoli di canzoni celebri sono considerati sicuro gancio di attrazione per il pubblico? Merito del richiamo degli hit, demerito di produttori, registi, titolisti...?
È di poche settimane fa «Notti magiche» di Paolo Virzì, che mutua il titolo da «Un'estate italiana», cantata da Edoardo Bennato e Gianna Nannini e composta da Giorgio Moroder (titolo originale «To Be Number One») in occasione dei mondiali di calcio del 1990. In questo caso il legame è strettissimo, visto che il film è ambientato proprio il 3 luglio 1990, nella notte della semifinale Italia-Argentina. Lo stesso Virzì aveva già subito il fascino della canzone intitolando «La prima cosa bella» il suo commovente film del 2010, in cui si ripercorrevano gioie e dolori famigliari sulle note dell'omonima canzone di Mogol e Nicola Di Bari.

Saccheggiatissimo Antonello Venditti: «Notte prima degli esami» di Fausto Brizzi del 2006 e relativi sequel e «Questa notte è ancora nostra» di Paolo Genovese e Luca Miniero (2008), con il cantautore a sottolineare come simili titolazioni avvenissero senza la necessità di chiedere il permesso all'autore, il cui repertorio è stato sfruttato anche da Gabriele Muccino in «Ricordati di me» (2003).


Daniele Luchetti ha diretto nel 2007 Elio Germano e Riccardo Scamarcio in «Mio fratello è figlio unico», in cui la canzone di Rino Gaetano serve come base alla narrazione cinematografica ispirata al libro «Il fasciocomunista» di Antonio Pennacchi (lo scrittore però si è dissociato dal film, ritenendo tradisse le sue intenzioni). Ancora Luchetti, nel 2010, ha attinto dal repertorio di Eros Ramazzotti con il durissimo e pluripremiato «La nostra vita», mentre Michele Soavi, attualmente sugli scudi con «La Befana vien di notte», aveva preso la prima strofa di «Insieme a te non ci sto più» di Caterina Caselli per intitolare nel 2006 il cupo noir «Arrivederci amore ciao» (va detto però che il film è basato sul romanzo omonimo di Massimo Carlotto, il che apre il capitolo dei rapporti tra letteratura e canzoni). Carlo Verdone è notoriamente appassionato di musica, non stupisce quindi che abbia attinto dal repertorio dei Rokes per la sua commedia sulla psicanalisi intitolata «Ma che colpa abbiamo noi» del 2003. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino