Dieci anni senza Antonioni e Bergman, morirono il 30 luglio 2007 a distanza di poche ore

Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni
All'ultima gara Ingmar Bergman arrivò primo, per un'incollatura, giusto dieci anni fa. Michelangelo Antonioni lo seguì appena qualche ora dopo, ma non in...

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All'ultima gara Ingmar Bergman arrivò primo, per un'incollatura, giusto dieci anni fa. Michelangelo Antonioni lo seguì appena qualche ora dopo, ma non in tempo utile per fermare le rotative e dividere le prime pagine dei giornali con l'appartato genio svedese.

La cronaca e la storia hanno rimesso le cose a posto e a dieci anni di distanza, il 30 luglio, ci si ritrova a celebrare i due maestri del cinema in una inattesa, ma del tutto giustificata, simbiosi. Indagatori dell'animo umano, formidabili cantori della donna moderna, artisti appartati che seppero imprimere una trasformazione profonda all'idea di racconto, ai confini della visibilità pura, Antonioni e Bergman stanno oggi a buon diritto ai primi due
posti di un ideale alfabeto del cinema mondiale.

A Ferrara il 29 settembre del 1912 nasce l'autore de «L'avventura», il creatore del «ciclo dell'incomunicabilità» che
sconvolse la società borghese nell'Italia degli anni '60. In Svezia, a Uppsala, il 14 luglio del 1918, tocca invece al figlio del Pastore protestante, al maestro che con «Il posto delle fragole» trasformò le visioni del surrealismo in un viaggio del cuore dell'inconscio moderno. Guardavano al mondo con il distacco (apparente) dell'entomologo, ma il loro cinema trabocca di sensualità, passione, coinvolgimento fino a fare della loro visione una formidabile testimonianza del tempo.
Non a caso, nel cuore di un secolo ancora maschilista e conservatore, misero la donna al centro della loro poetica, con la stessa dedizione, pur avendo caratteri e culture tanto diverse.
La morte che li ha riuniti non permette oggi un appiattimento critico: il mondo di Antonioni è un disegno architettonico nel quale le figure umane si muovono come automi che pian piano scoprono la propria dimensione reale. Il teatro di marionette di Ingmar Bergman affonda invece le sue radici in una cultura nordica tra Ibsen e Kierkegaard, nel teatro e nella religione, in drammatico dialogo tra un Dio assente e un uomo smarrito. Il
silenzio, il vuoto, la ricerca invece li accomunano; ma le risposte saranno sempre diverse.

Antonioni si forma come critico cinematografico, impara l'arte della regia da Jean Renoir, debutta nel documentario
sociale e scopre la narrazione con un realismo sommesso che conclude il neorealismo («Cronaca di un amore»), attinge a Pavese («Le amiche»), al disagio sociale («Il grido»), alla società del Dio denaro («L'eclisse»). Formatosi sui testi di Strindberg, il genio di Uppsala sceglie invece la chiave del realismo magico, del racconto simbolico e rilegge i gradi temi della cultura europea con uno stile che presto diventa riconoscibile, da «La fontana della vergine» al «Settimo sigillo», fino al film-evento «Il posto delle fragole».
Per entrambi i primi anni '60 sono quelli della consacrazione, e coincidono con una trilogia: quella ll'incomunicabilità per Antonioni che subito dopo si confronta col cinema internazionale («Blow up») e quella del «silenzio di
Dio» per Bergman che poi sceglie la via di un nuovo teatro della crudeltà, focalizzandosi sul tema della donna da «Persona» a «Sussurri e grida». Le rispettive scelte degli anni '70 marcano invece le profonde differenze tra i due, con Antonioni impegnato ad ampliare il suo obiettivo sul mondo (da «Zabriskie Point» a «Professione Reporter» fino al grande documentario «Chung Kuo Cina»), mentre Bergman scopre la verità assoluta del linguaggio
televisivo («Scene da un matrimonio») e si rifugia poi nel passato e nello spazio teatrale, scarnificando ogni volta di più il suo linguaggio alla ricerca di una verità senza trucchi.

Anche la parabola senile è diversa e simile: un ictus violentissimo toglie la parola ad Antonioni che si affiderà sempre più spesso alla pittura per liberare il suo talento; una ricerca di solitudine e silenzio porterà Bergman sempre più spesso nel suo ritiro sull'isola di Far stimolato a tornare dietro la macchina da presa solo per incursioni tra teatro e cinema permesse dalla televisione. Quella stessa tv per cui Antonioni aveva sperimentato il linguaggio elettronico con «Il mistero di Oberwald» nel 1980, in anticipo sull'era digitale.

Nella vita privata sono stati entrambi grandi seduttori monogamici e compagni delle loro attrici. Per Antonioni resta
l'amore per Monica Vitti e poi la scelta coniugale con Enrica Fico che lo ha accompagnato nella maturità e nella vecchiaia.
Per Bergman una «ronda» che ha coinvolto in tempi diversi le sue muse ispiratrici da Harriet e Bibi Andersson, da Ingrid Thulin fino alle sue altre tre mogli e a Liv Ullmann che ne è stata prima compagna e poi complice creativa nella tarda maturità.
Dal cinema hanno avuto i massimi riconoscimenti: Ferrara ha dedicato ad Antonioni un museo e la Svezia ha regalato a Bergman una fondazione oggi attivissima. Due Leoni d'oro a Venezia, quattro premi a Cannes, un Orso d'oro a Berlino e un Oscar alla carriera hanno celebrato Michelangelo; ben quattro Oscar aprono la lunghissima lista dei premi conquistati da Ingmar, una delle personalità creative più eminenti del XX secolo.

Il segreto maggiore dell'arte di entrambi è affidato alla riflessione scritta che hanno lasciato: la bellissima autobiografia «Lanterna magica» che Bergman pubblicò nel 1987 e il lungo viaggio nel suo cinema «Fare un film per me è vivere» che Antonioni affidò alla perizia critica del suo biografo e amico Carlo di Carlo insieme a Giorgio Tinazzi. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino