Gli album del 2020: nonno Dylan splende tra rapper e trapper

Gli album del 2020: nonno Dylan splende tra rapper e trapper
Nell'anno orribile che tutti vorremmo non aver mai conosciuto e ancor più che andasse via con (quasi) tutto quello che ha portato, la musica è stata buttata...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Nell'anno orribile che tutti vorremmo non aver mai conosciuto e ancor più che andasse via con (quasi) tutto quello che ha portato, la musica è stata buttata giù dai palchi, messa in sordina perché ritenuta non necessaria, compressa nei pc e nelle piattaforme, cloroformizzata dallo streaming, normalizzata da una rottamazione globale che avanza buttando il bambino con l'acqua sporca.


Non fosse stato per sua Bobbità, 80 anni il prossimo 24 maggio, non ci saremmo innamorati di nessun disco - ma esistono ancora i dischi, possiamo parlarne senza essere citati di vetustà e candidati al prepensionamento forzato? - targato 2020. Ma Dylan, l'uomo del grande Slam più grande che c'è (Nobel, Oscar, Grammy, Pulitzer più la mia eterna riconoscenza) ha salvato l'annata - almeno su questo fronte - con «Rough and rowdy ways», tornando al primo posto delle classifiche di vendita prima di vendere i diritti d'autore del suo leggendario canzoniere. Cantacronache d'America, canzoni d'amore, ballate salmodianti, gospel immobili, blues in movimento come non gli sentivamo fare da decenni, inni molesti. Più parole che suoni, citazioni che sono emozioni, le pallottole su Kennedy, la musica che salva, il cinema pure: lui le contiene davvero le moltitudini whitmaniane che canta e che ci piace(rebbe) ancora frequentare. Forever young, ma anche orgoglioso di essere vecchissimo, era molto più giovane allora (quando?), è molto più giovane adesso che riflette sui tempi che stanno - ancora - cambiando. Che, forse, stanno finendo. Dylan sente «le ossa sotto la mia pelle» e guarda la morte in faccia: «Tre miglia a nord del purgatorio, a un passo dall'aldilà, ho pregato la croce, ho baciato le ragazze e ho attraversato il Rubicone». Il tutto lanciato da una ballata di quasi 17 minuti, «Murder most foul», una cosmogonia a stelle e a strisce che parla anche di noi, che quella cultura amammo (e amiamo) e quella politica combattemmo (e combattiamo). Aedo, gli dissero quelli del Nobel che non lo hanno mai visto in faccia, aedo è tornato a essere o, più semplicemente, Robert Zimmerman, uno, nessuno e centomila.


Però non c'è solo l'amore che strappa i capelli, e, soprattutto nei giorni della pandemia, della reclusione, dell'assenza di riti sociali, di amplessi sonici, di orge di chitarre e campionatori, qualche passioncella l'abbiamo avuta. Per Fiona Apple, ad esempio, che persino Dylan - sempre lui - ha voluto nel suo disco, e che con «Feich the bold cutters» guida la riscossa delle ragazze (in America il disco più venduto è «Folklore» di Taylor Swift): un album primitivo, e non solo perché fatto in casa; claustrofobico, e non solo perché parto del lockdown; indefinibile, e non solo perché i suoni se ne fottono dei generi e le voci della quarantatreenne di Manhattan ancora di più, impegnata com'è a maltrattare il pianoforte e raccontare - tra rabbia e ironia - storie di donne in crisi, molestate, infelicemente sposate, depresse...


Passioncelle - che durano, però, promosse a relazioni stabili tra trombamici di lusso - nell'era del Black Lives Matter hanno acceso Yves Tumor, con «Heaven to a tortured mind», glam crossover tra Bowie e Prince, Beck e i Funkadelic, Throbbing Gristle e Bjork; e i Run the Jewels di «Rtj4», combat rap, hip hop orgogliosamente old school, politico, pronto a reclamare lo scettro militante dei Public Enemy, magari grazie anche all'aiuto di ospiti come Zach De La Rocha, 2 Chainz, Pharrell Williams e l'inedita coppia Mavis Staples-Josh Homme.


L'Italia è rap e trap («Persona» di Marracash il disco più venduto, seguono «Famoso» di Sfera Ebbasta, «23 6451» di Tha Supreme, «Mr. Fini» di Guè Pequeno...) e pure un po' indie, ma i ragazzi della hit parade sono troppo concentrati su tormentini, visualizzazioni, featuring, streaming, sponsoring, per pensare al lungo formato, poco adatto al consumo contemporaneo, veloce sino alla schizofrenia. Fa eccezione il rapper di frontiera Speranza con «L'ultimo a morire» che sbraita come un orco ancora non addomesticato dalla sua «nowhere land», il suo «Casertexas». Contro l'estinzione dei cantautori «vecchia scuola», lottano il Francesco Bianconi chansonnier neoesistenzialista di «Forever»; il ritrovato Samuele Bersani di «Cinema Bersani» e la coppia sicula ColapesceDimartino di «I mortali», che speriamo di non ritrovare spompati al prossimo Sanremo. La fucina newpolitana attende i prossimi passi di Nu Guinea, La Nina, Svm, Alessio Arena, le EbbaneSis, godendosi la ristampa almamegrettiana di «Sanacore» nel suo venticinquennale.
Le musiche del mondo risplendono impure in «Oasis» di Melingo, tanguero eretico che qualcuno ricorderà con Milton Nascimento e i Gotan Project o cantare Nat King Cole in spagnolo al servizio del Cuban Ensemble di Bill Murray, e qui inietta di dub il pensiero triste che si balla, tratta il bandoneon come un poligamo fa con la prima moglie, arruola Vinicio Capossela e Andrés Calamaro, fa giacere la milonga con il rebetiko.


Il jazz resiste alla museificazione avanzante grazie alla fucina International Anthem, che dal cilindro del suo catalogo caccia ora «Suite for Max Brown» di Jeff Parker, ex chitarrista dei Tortoise, che dedica l'album, sin dal titolo e dalla foto di copertina, alla madre: campionamenti di Otis Redding, sound d'Afrique, un John Coltrane riletto come sarebbe piaciuto a Ry Cooder, canzoni carioca, hip hop, elettronica, rock d'avanguardia (esiste ancora!)...


E il rock-rock, dite voi? Non vi bastano Bobbissimo e le ristampe su vinile di cui andiamo pazzi (Kinks, Ccr, per dirne qualcuna)? Pearl Jam («Gigatron») e Bruce Springsteen («Letter to you») non danno sussulti, ma nemmeno i giovinotti del post-punk irlandese, i Fontaines D.C. di «A hero's death». Sul fronte dei singer-songwriter piacciono, senza novità, il Nick Cave live di «Idiot prayer», lo Stephen Malkmus di «Tradicional techniques» e la Laura Marling di «Strange girl».


Ma le musiche chiuse in casa vivono male. Fa rumore, così, e Diodato non c'entra, soprattutto il silenzio assordante delle nostre vite rinchiuse.
  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino