Eugenio Bennato, festa per i 72 anni con un nuovo album

Per il suo compleanno, ieri, Eugenio Bennato si è regalato e ci ha regalato un nuovo disco, fisico come digitale. A 72 anni, il padrino del folk revival campano pubblica...

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Per il suo compleanno, ieri, Eugenio Bennato si è regalato e ci ha regalato un nuovo disco, fisico come digitale. A 72 anni, il padrino del folk revival campano pubblica con la sua etichetta Sponda Sud «Qualcuno sulla terra», cd in cui raccoglie due piccole suite, una più recente ed una più datata.


Auguri, Eugenio, innanzitutto, come vivi questi giorni di clausura forzata?
«Da privilegiato, perché ho la musica a farmi compagnia. Ma anche, come tutti noi, da uomo sbalordito per il pericolo inatteso, le nostre vite sospese, le nostre città vuote, le canzoni che risuonano dalla finestre».

Come hai festeggiato?
«Con videotelefonate a distanza con i miei figli. Carola, 31 anni, è a Bruxelles, dove lavora al parlamento europeo. Fulvio, 28, fa il giramondo con la chitarra e in questo momento è in Nuova Zelanda. Eugenia, quindici anni, è in Marocco. Siamo abituati a sentirci e vederci così ma... in questi tempi ogni videochat è più struggente, più emozionante».

«Qualcuno sulla terra» nasce da una commissione del San Carlo.
«Era il 2013, debuttammo la serata di San Valentino e poi facemmo una decina di repliche per le scuole: mi avevano chiesto di parlare d’amore, l’ho fatto raccontando i sette giorni della creazione».

«L’amore muove la luna» apre il disco e la suite anche se i versi della «Ballata del carcere di Reading» sembrano in contrasto con l’assunto del titolo.
«Non sembrano: sono in contrasto con il titolo, con il Lucrezio citato prima, anche con il pezzo stesso, ma quel “Each man kills the things he loves” mi suonava bene in quel pezzo, era un omaggio a un poeta, a una sua opera straordinaria. Ogni uomo uccide quello che ama, ma non c’è spazio per il femminicidio qui».

«Fiat lux» ripercorre la «Genesi» come un canto popolare cumulativo.
«A ogni nuova strofa si aggiunge qualche verso e contiene tutti quelli precedenti, sino a ripercorrere i sette giorni della creazione del mondo».

«L’arca di Noe» racconta il primato - violento - degli uomini sugli animali, «Kifaya» ci porta alla primavera araba.
«Ero in Marocco quando scoppiò: quella parola “Kifaya” passava di bocca in bocca, significa “basta”, serviva anche a me. Per dare voce a quella lotta, per trovare una nuova lingua per le nostre lotte, pensando sempre a Davide contro Golia».

«Non c’è ragione» riscopre la tua laurea in Fisica.
«Cito Einstein e rilancio la dualità che mi imprigiona da sempre, la lotta tra ragione e sentimento, tra scienza e coscienza. La scienza serve l’uomo fino a quando non pensa di poterlo controllare, ingabbiare. Fino a quando il progresso non ci porta indietro».

Chiudi questa prima parte con il brano del titolo che, con la splendida voce di Pietra Montecorvino, riepiloga i temi del lavoro («Per esserci la storia/ deve esserci qualcuno/ qualcuno che ricorda/ e incomincia a raccontare./ Per esserci la guerra/ ci deve essere qualcuno/ qualcuno sulla terra/ che la guerra vuole fare»). Prima, però, c’è «Ballata di una madre» con un approdo sorprendente, per un laico come te, sull’aborto.
«All’inizio c’era il ritornello, una ninna nanna che avevo scritto per il mio Fulvietto. Poi ho aggiunto le strofe sul senso della maternità e mi sono accorto di aver cambiato idea sull’aborto: da ragazzo l’avevo celebrato come un conquista, oggi mi sento di invitare a pensarci prima mille volte, a riflettere anche su “tutte le vite da rispettare”».

Cos’è cambiato?
«Non lo so, deve essere successo qualcosa quando è nata Eugenia, quando abbiamo capito che la volevamo fortemente e basta».

Il tutto con il tuo gruppo di musicisti guidato da Erasmo Petringa e le sue Voci del Sud. Che ritroviamo anche nella seconda suite, ben più antica, «A Sud di Mozart».

«Era il 1988 e l’Ater Balletto di Reggio Emilia ci chiese qualcosa per una coreografia che doveva essere affidata a Amedeo Amodio. Con Carlo D’Angiò scrivemmo del giovane favoloso Mozart a Napoli, dell’opera buffa che rubò il suo cuore e la sua immaginazione. E lo immaginammo lasciato fuori dal San Carlo, ma invitato dal popolo a farsi un giro dove quei suoni trovavano ispirazione. Lo incontriamo in un video dove qualcuno urla che “Carmeniello sta malato”, è solo un modo per iniziare una storia, per dire che soffre di mal d’amore, per curarlo con una tarantella». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino