Fabio Fazio non ci sta: a due giorni dal Cda Rai che ha approvato la policy sul conflitto di interessi di agenti produttori e artisti, il conduttore di Che tempo che...
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«Adesso basta: parlo poco, ogni due anni, ma la norma 'anti-Faziò approvata dal Cda mi obbliga a dire la mia», le parole di Fazio, arrivato alla decisione di parlare e pretendere che la Rai dica con chiarezza se lo vuole oppure no. «Trovo ogni limite superato. Qui entriamo nel campo dell'inaccettabile: da tempo mi viene riservato un trattamento che non ha eguali né precedenti. Adesso basta», tuona Fazio, facendo presente che tutto è cominciato «tre anni fa quando - racconta - ero già serenamente avviato altrove e la Rai mi chiese di restare. Mi scappò detto che la politica non doveva più entrare nella tv. Da allora iniziò la guerra, perché quella mia frase fu letta come una questione personale. Uno stillicidio continuo, un linciaggio senza eguali né giustificazioni».
«Quando sono rimasto, l'intento dell'azienda era di portarmi su Rai1, un po' quello che aveva anticipato Freccero, definendo Che tempo che fa “il più bel programma di Rai1” quand'ero ancora a Rai3 - dice Fazio - Su Rai1 abbiamo coperto dalle 20.30 a mezzanotte per un costo a puntata di 300mila euro per la mia società, più 100mila di costi generali Rai». Dunque 400mila complessivi? «Sì, ma di solito in quella fascia va una fiction di due ore, a una media di 750mila euro l'ora».
«Prima del mio arrivo Rai1 faceva in media il 15,19%: con me il 16,3 il primo anno e il 15,49 il secondo. Ma solo nel 2018-19 ho subìto 120 attacchi dall'ex ministro dell'Interno». Anzi, «per l'esattezza - tiene il conto Fazio - sono 123; se vieni attaccato dal capo del Viminale, hai una vita normale e due figli da portare a scuola, non sai mai chi sono i seguaci del ministro». E in Rai qualcuno ha replicato a questo? «123 attacchi, 123 silenzi. E dopo due anni il trasloco su Rai2». Coincidenza? «No: mai avuto il numero di telefono del direttore di Rai1 (Teresa De Santis, ndr); forse non è chiaro, ma sono uscite notizie false, han ribaltato i costi di produzione attribuendomeli come guadagni: i 400mila euro diventavano uno stipendio da 12 milioni l'anno per 4 anni».
«S'è mossa persino l'Anac.
«La Rai ha ottime professionalità, ma da azienda pubblica ha troppe regole, anche le più impensabili, che rendono impossibile la produzione interna», continua Fazio, che fa esempi chiari sulle «regole impensabili» che scandiscono la vita dell'Azienda Pubblica: «Vai in onda di domenica, ma l'ufficio scritture chiude il venerdì. Non puoi comprare nemmeno i fiori: c'è l'Ufficio acquisti. Così è impossibile fare dall'interno programmi complicati come il nostro». Autoprodursi significa, quindi, bypassare queste regole e poter «controllare il prodotto, accade pure per Bonolis, De Filippi, Floris - sottolinea Fazio - La Scala ingaggia artisti da fuori. E poi potevano dirmelo prima della firma del contratto, che non si poteva. Mi sarei regolato diversamente». Ma Fazio si sente a tutti gli effetti un interno: «Sono entrato in Rai nel 1983 con Raffaella Carrà, non avevo ancora compiuto 19 anni; quindi mi sento più Rai della Rai. Ho lavorato internamente fino al 1999, poi ho iniziato con le coproduzioni, che sono la vita stessa dell'azienda, da Fiorello ai pacchi a Ballando». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino