Rocco Hunt: «Sette anni di juorni buoni»

Sette anni fa, era il 17/02/2014, Rocco Hunt vinceva tra i Giovani a Sanremo, davanti a Diodato, con «Nu juorno buono», destinata a un successo superiore anche alla...

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Sette anni fa, era il 17/02/2014, Rocco Hunt vinceva tra i Giovani a Sanremo, davanti a Diodato, con «Nu juorno buono», destinata a un successo superiore anche alla canzone regina tra i big, «Controvento» di Arisa. Sette anni e due giorni dopo, oggi, 19 febbraio 2021, il ventiseienne rapper salernitano celebra quella data, ma anche «sette anni di juorni buoni, nonostante qualche ombra», con un nuovo singolo, «Che me chiamme a fa», diviso con il «golden boy» della scena rap'n'trap emergente, Geolier.

Sulla base di Nazo che usa come suono anche il «tu tuu» del cellulare, i due srotolano flow veracissimi su una canzone «di amore non felice, quello che ti chiama solo a notte tardi, quando è solo con se stesso e cerca qualcuno/qualcosa per placare il mal di vivere che la solitudine libera», spiega mister Pagliarulo che rappa: «Ma allora a notte che me chiamme a fa'/ se veramente nun ce tiene/ dimme pecché mo' tremi/ Mo' cu''tte nun voglio cchiù pazzia'/ rincello o munno, stammo assieme». Il ragazzo di Secondigliano, fa rimare invece Neruda e barracuda (applausi!!!) e declina la relazione sul fronte dei rapporti di classe, come il D'Alessio di «Fotomodella un po' povera»: «Sono nu' guaglione e strada e se n'è accorta mamma e babbo/ quanno parlo annanz' a loro in italiano sbaglio». Poi, come nelle più classiche strofe di riscatto, promette alla sua bella un anello di Tiffany, «ma vestito Nike», come a dire sempre in tuta, senza mettersi in ghingheri, senza snaturarsi.

«È una love story sofferta, di quelle che abbiamo vissuto tutti, da un lato o dall'altro della vicenda», racconta Rocco, che ormai spopola anche in Spagna, grazie alla versione iberica del suo successo con Ana Mena, «A un passo dalla luna». Il ritorno al dialetto dopo il tormentone estivo lo «rimette al punto di partenza del mio hip hop, mi riporta a radici che non ho mai tradito e non voglio tradire mai, sia pur misurandomi anche, quando è il caso, con l'italiano, con canzoni più melodiche e pop».

Il napoletano, intanto, è tornato ad essere lingua principe, se non principale, della canzone italiana, tranne che a Sanremo, che quest'anno non ha arruolato nessun concorrente che usi la lingua di Di Giacomo e Liberato: «Anche a me 7 anni fa chiesero di mettere un po' di italiano nella canzone del ragazzo che vendeva il pesce al mercato. Ma i tempi sono cambiati, un po' di merito l'avrò avuto anche io con quelle rime, e poi Gomorra e poi il rap che ha bisogno dei suoni tronchi del nostro dialetto per non patire troppo nel sound. Sta di fatto che oggi il dialetto non è più un problema, lo suonano le radio, lo usano alle sfilate, nelle serie tv, nei film. Iniziano ad usarlo anche quelli che napoletani non sono. Genera hype, è di moda, dovremmo fare in modo che lo resti, che, come un tempo, l'Italia e il mondo intero riconosca il napoletano come la prima lingua della canzone italiana. Sia chiaro: su questo fronte dobbiamo tutti molto a Renato Carosone e Pino Daniele che ci hanno mostrato una strada ritmica al dialetto, non solo melodica».

Intanto, dopo «A un paso de la luna», il salernitano guarderà «con attenzione al mercato sudamericano e messicano. In Spagna sono stato tra i più trasmessi in radio, mi piace l'idea di continuare a studiare la lingua per le interviste. In fondo, 7 anni fa, prima della notte magica dell'Ariston, avevo già iniziato a studiare l'italiano per prepararmi alle interviste con te, all'epoca erano in pochi quelli che mi prendevano sul serio. Dopo la vittoria di allora, e dopo i traguardi tagliati finora, è facile dare credito a Rocco Hunt, era molto più difficile scommettere allora su quel giovane rapper che chiamavi Rocchino».
 

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Il Mattino