Ricciardi: il mio canto nel «Blu» tra i Manetti bros e un docufilm

Negli anni Novanta era uno dei ragazzi del mucchio selvaggio che furono definiti come «neomelodici»: nessuna parola utilizzata prima andava bene per spiegare...

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Negli anni Novanta era uno dei ragazzi del mucchio selvaggio che furono definiti come «neomelodici»: nessuna parola utilizzata prima andava bene per spiegare l’azzardo in atto. Nel 2017 Francesco Liccardo, classe ‘66, in arte Franco Ricciardi, da Secondigliano, settimo di otto figli, ha alle spalle un David di Donatello, vinto nel 2014 per «’A verità», canzone scritta per «Song ‘e Napule» dei Manetti, e davanti un nuovo film, da attore e da cantante, ancora con i due fratelli, «Ammore e malavita», in uscita verso ottobre. Ma, avverte in uno dei versi chiave del suo nuovo album, «Blu», in uscita venerdì: «Je so’ sempe chille. Chille ‘e tant’anne fa».

Davvero Franco? Il ragazzo di «Mia cugina», il divo neomelò che arrivava in elicottero al Palapartenope, è o stesso che oggi si muove tra rapper e suoni urban?
«Assolutamente sì. Con più anni, ed esperienze, ed errori alle spalle. Ma con la stessa ansia di fare qualcosa di nuovo, di non farsi superare dal tempo, di rispettare il pubblico servendogli ogni volta qualcosa di originale. Anche se, corri corri, poi ti ritrovi al punto di partenza: per questo disco, che ho prodotto con la mia etichetta, la Cuore Nero, ma è distribuito dalla Universal, ho ricercato suoni anni Ottanta che usavo già quando ho iniziato a fare musica».
Un disco che ritorna a cantare l’amore, che mette da parte le storie di ordinaria Gomorra evocate nei lavori più recenti come «Autobus» e «Figli e figliastri»: titoli come «N’ata notte», il singolo di lancio, «Si ce staje», «Femmena bugiarda», «Nun pazzia’ co’ core», «Uocchie ‘e ‘na femmena» parlano chiaro.
«È vero, credo che nella guerra quotidiana che combattiamo ci servano anticorpi, medicine per l’anima, pause disintossicanti: canterei l’amore per me ha questo effetto».
Il linguaggio sonoro tiene insieme la melodia cara alle tue fans più antiche ai beat di D-Ross e Sarah Tartuffo, con cui hai prodotto il cd.
«È il mio mondo, è il mio sound, da sempre metropolitano: come cambia il rumore/suono della mia città così cambio io. In questo disco ho scritto con Raiz, con Ivan Granatino, ma ho anche ritrovato, sempre in fase di composizione, Enzo Rossi».
«Overo» di Vale Lambo è il pezzo più duro, con tanto di autotune a guardare all’universo trap.
«È un ritratto crudo, impietoso, importante in un disco in cui i sentimenti vincono, ma non vogliono essere melassa».
Nel disco ci sono pezzi destinati alla colonna sonora di «Ammore e malavita»?
«No, nel film canto tre pezzi, dovrete aspettare che esca per sentirli: in uno sono da solo, in un altro con Carlo Buccirosso e Serena Rossi, nel terzo con Raiz e Giampaolo Morelli».
Nel cast di questo musical verace c’è anche Claudia Gerini. Qual’è il tuo ruolo?
«Sono di nuovo un boss, ‘o Sicondo, anche se mi vedranno come... il primo. C’è da divertirsi, prometto».
A proposito di cinema? A che punto sono le riprese del docufilm sulla tua carriera?
«Siamo verso la fine. Ero refrattario ad un’operazione del genere, mi sembrava roba che fai quando ti avvi ad appendere il microfono al chiodo, ma... Questa è un’altra storia, mi hanno seguito sul lavoro di ogni giorno, l’ironia è un’arma per non prendere tutto troppo sul serio. È una coproduzione Rai Cinema-Figli del Bronx, dirige Romano Montesarchio».
Insomma, tanta carne al fuoco.

«Sì, infatti, venerdì sera mi festeggio, anzi sarà una doppia festa: mio figlio Salvio compie 18 anni. Auguri a lui, il ”Blu” della mia vita, il mio futuro».
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Il Mattino