Gianni Morandi balla con Jovanotti: «Io come Totò tra i giovani d'oggi»

Gianni Morandi tra i giovani d'oggi. Solo che Totò e Fabrizi i giovani del 1950 non li capivano proprio, mentre l'eterno ragazzo - appunto - di Monghidoro...

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Gianni Morandi tra i giovani d'oggi. Solo che Totò e Fabrizi i giovani del 1950 non li capivano proprio, mentre l'eterno ragazzo - appunto - di Monghidoro sì, anche a costo di pagare la sindrome di Dorian Gray: re dei social (vabbè, di Facebook, il più anzianoide dei social), già al fianco di Rovazzi, stavolta, ancora convalescente dal brutto incidente dell'11 marzo scorso, si è presentato con un tormentone jovanottiano uscito, quasi esorcisticamente, dopo tre mesi esatti, l'11 giugno.

Allora: Morandi tra i Jovanotti d'oggi?
«Ero chiuso in casa come tutti, bloccati i concerti, non sapevo che cosa fare. Ero anche andato a chiedere lumi alla mia casa discografica, ma non sembravano saperne più di me, anzi non sembravano più interessati a me. Dovevo smettere anche se la gente mi ascolta ancora? Ho chiesto una canzone a Lorenzo, qualche settimana dopo l'incidente mi ha telefonato e mi ha detto: Ho il pezzo, vieni».

E sei andato.
«Sì: il brano, Allegria, era fortissimo, ma era stile Jovanotti, che l'aveva anche già prodotto con il grande Rick Rubin. Che c'entro io?, gli ho chiesto. Devi cantarlo tu, la canzone e il messaggio sono più forti se li interpreti tu, mi ha risposto».

Un messaggio di ripartenza, collettiva (dopo la clausura) e personale (dopo l'ospedale). Una canzone curativa e molto anni 60: «Quando ho sentito la tua voce uscire dalle casse mi ha fatto bene», dice Jovanotti.
«Lorenzo è l'artista delle sorprese, lo devo ringraziare per questo regalo inatteso, per questa ripartenza. L'abbiamo incisa in due giorni, lui mi ha aiutato sulla metrica, sulle divisioni in sillabe, molto personali del suo stile di scrittura. Ed abbiamo fatto uscire il pezzo nonostante i dubbi dei discografici: dovevamo buttarlo fuori al volo, mentre uscivano tutti gli aspiranti tormentoni dell'estate».

Come sta andando?
«Sembra bene: le radio lo suonano, in spiaggia lo ballano, vorrei che a fine stagione fosse tra le 20-30 canzoni più ascoltate».

A 76 anni hai anche aperto un profilo Tik Tok. Possibile tener testa alla rivoluzione musicale giovanile che avanza?
«No, no, noi vecchietti dobbiamo stare al nostro posto, continuare a cantare le nostre canzoni, fare i nostri concerti, poi... se ci viene una zampata... la diamo. A me piace il rap, vedo in giro ragazzi straordinari, come Salmo, come Sfera Ebbasta, o magari un po' cresciuti come lo zio di tutti loro J-Ax, rispettatissimo. Credo che la situazione ricordi l'arrivo di Modugno, che pensionò Consolini e la Pizzi, solo che ora non vedo in giro un Mimmo, ma un movimento forte davvero».

E il rapper Tredici Pietro, tuo figlio, classe 97, che ne dice?
«Non ci confrontiamo molto sulla musica, a dire la verità».

Come sta la mano?
«Meglio, ma le ustioni hanno guarigioni lente. Volevo bruciare dei rami secchi, avevo avvertito la protezione civile, ma per spingere nel fuoco un ramo verde sono caduto dentro le fiamme. Mi sono salvato per miracolo, mi sono buttato sul prato, per arrivare a casa, pochi metri, ci ho messo venti minuti. Mia moglie Anna mi ha visto piangente per il dolore e l'adrenalina, mi ha portato in ospedale, per 27 giorni sono rimasto in terapia intensiva. La mano destra mi dà ancora fastidio e non riesco ancora a suonare la chitarra. Ma sono qui e la mia faccia è salva».

«Mi serve una botta di vita/ ci vuole un'azione che riapra la partita./ Mi ci vuole quello che ci vuole, quello che ci vuole/ e un calcio e ripartire, ripartire./ Quant'è bella l'allegria, devo ricordarmelo», canti sospeso tra gli anni 60 ed il nostro tempo.
«Jovanotti ha cambiato il mio umore, ha ridato un senso al mio mestiere».

Lorenzo ti ha presentato a Rubin come «il Johnny Cash italiano».
«Semmai Gianni Cash».

Che continua a mettere in fila i giovani d'oggi, però. La conferenza stampa a parco Lambro fa venire in mente i megaraduni degli anni 70: allora, però, i giovani ti voltarono le spalle.
«Io ai festival della controcultura non ero ammesso. Ma avevo intravisto il cambiamento nel 71, quando cantai prima dei Led Zeppelin al Cantagiro: mi tirarono i pomodori. Non ero più attuale, c'era il rock, stavano per arrivare i cantautori, nessuno mi chiedeva più autografi o foto».

A proposito, Madame...
«Lei è brava. Quanto alle polemiche, capisco che non sia facile vivere prigioniera della voglia dei selfie dei fan. Ma se fai questo mestiere devi stare al gioco. Mi ricordo una sera a cena con Battisti, venne una signora che ci chiese di posare con lei: Ma stiamo mangiano, non lo vede?!, rispose brusco Lucio. Lo capii, ma capii anche la signora. Io avrei sorriso e accettato lo scatto. Comunque, è peggio quando non ti cercano più, a me è successo».

Nell'album del 1988 diviso con Dalla hai inciso «Che cosa resterà di me» di Battiato.
«L'aveva riscritta su di me, quando se l'è ripresa ha lasciato perdere la mia storia e l'ha riportata alla sua, ribattezzandola Mesopotamia. Ho sofferto molto per la scomparsa di Franco, ero andato a trovarlo, abbiamo fatto in tempo a darci un ultimo abbraccio tra coetanei. Se mi invitano al tributo all'Arena di Verona del 21 settembre ci vado».

E ora?


«Appena posso, riprendo i concerti saltati in teatro a Bologna. E, poi, c'è un altro pezzo di Jovanotti, una bella ballata...».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino