Grammy, con Super Adele vincono i big del passato

Grammy, con Super Adele vincono i big del passato
Certo che fa impressione, nel 2017, trovare nella lista dei Grammy Awards dell’anno i nomi di David Bowie, Bob Dylan, Miles Davis e dei Beatles. La trionfatrice di questa...

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Certo che fa impressione, nel 2017, trovare nella lista dei Grammy Awards dell’anno i nomi di David Bowie, Bob Dylan, Miles Davis e dei Beatles. La trionfatrice di questa edizione, certo, è Adele, e non poteva essere diversamente, che allo Staples Center di Los Angeles ha portato a casa cinque grammofonini dorati (raggiungendo quota 15), compresi quelli più prestigiosi per l’album («25») e la canzone dell’anno («Hello»). Cinque premi, tra cui quello per l’album «alternative» e il brano rock, ritirati dai suoi musicisti, anche a Bowie, che entra così per la prima volta nelll’albo d’oro della manifestazione: è servita la sua morte, e/o un album epocale e postmoderno come «Blackstar», per farlo prendere in considerazione dai giurati sempre più conservatori.


Minori, ma significativi, i riconoscimenti andati al Premio Nobel («The cutting edge 1965-66», dodicesimo volume della «bootleg series»), all’Uomo con la Tromba per la compilation «Miles ahead» e ai Fab Four per la colonna sonora di «Eight days a week» di Ron Howard. A completare lo sguardo all’indietro della cerimonia, più del premio alla carriera ritirato da John Cale a nome dei mai sufficiemente lodati Velvet Underground, è stata la lista degli omaggi: Adele si è fermata per ripetere «Fast love» («Scusate, non posso fare come l’anno scorso. Scusate se sto sudando. Non posso andare avanti, per rispetto nei confronti di George Michael. Ricominciamo», ha detto, prima di ripartire e meritare una standing ovation), Bruno Mars ha riletto Prince («Jungle love», «The bird» e «Let’s go crazy»), John Legend ha reso tributo agli altri caduti eccellenti del 2016, Demy Lovato ha guidato la festa per i quarant’anni di «Saturday night fever».

Un’edizione retrò? Un’edizione in tono minore, come suggerivano i numerosi, troppi, posti vuoti in platea? Sicuramente un’edizione no per gli italiani, che pure speravano in almeno un premio, viste le candidature di Laura Pausini con «Similares» sul fronte del «best latin album», di Andrea Bocelli con «Cinema» nella categoria «traditional pop vocal album», di Andrea Morricone con la colonna sonora di «The Hateful Eight» e uno dei brani scritti per il film di Tarantino, «L’ultima diligenza di Red Rock», candidato come miglior composizione classica.
Il ciclone Adele, che da sola sembra continuare a reggere il peso, e soprattutto il fatturato, di un’industria discografica sempre più boccheggiante, ha tenuto inchiodata la platea mondiale che seguiva l’evento in tv o in streaming non solo con la voce, ma anche spezzando, letteralmente, uno dei trofei vinti per dividerlo simbolicamente con Beyoncé che, ha detto, «lo merita più di me: il tuo album, “Lemonade”, è monumentale. I love you». La Queen Bee ha portato a casa solo due allori minori e si è esibita, in abito dorato, mostrando per la prima volta in pubblico il pancione: a spellarsi le mani in platea il marito Jay-Z.

Unica vera novità, in una serata segnata anche dall’incontro tra Lady Gaga e i Metallica con James Hetfield che - disturbato da problemi tecnici - è andato via gettando la chitarra, l’incoronazione sul fronte dell’hip hop con il tris di Chance The Rapper, premiato come «best new artist» grazie al peso del suo «Coloring book. A 23 anni il ragazzo di Chicago è diventato una stella grazie alle decisione della Recording Academy, che organizza gli Oscar della musica, di considerare per le nomination anche artisti che hanno pubblicato i loro lavori solo su piattaforme streaming. Questa sì che è una novità e segnala la musica, o almeno il music business, che verrà.

Tra le note di cronaca la protesta anti-Trump, definito «agent orange», di Busta Rhymes con «A Tribe Called Quest», e, in un tentativo improbabile di par condicio visto che il cuore dello showbiz sicuramente non parteggia per «The Donald», l’abito sfoggiato dalla prorompente Joy Villa, blue e bianco con decorazioni rosse e un motto in argento, «Make America great again», mentre sulla gonna campeggiavano cinque lettere: «Trump». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino