La nostalgia è canaglia, ma «Southern blood», in uscita l’8 settembre per la Rounder, sarebbe un signor disco, uno di quelli da far suonare centinaia di...
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Il sound di Muscle Shoals è riconoscibilissimo, come la voce di Gregg, appena più controllata, pensosa, ma mai ripiegata. Non ce l’ha fatta a scrivere inediti, così ha scelto tra cover a lui care, affidandosi poi a Don Was: «Credo ci fosse un tacito accordo che questo lavoro chiudesse la sua carriera riassumendola nello stesso tempo», racconta il produttore. Solo «My only true friend» porta la sua firma: il suo chitarrista Scott Sharrard l’aveva scritta dopo un sogno in cui Duane parlava con Gregg («ma non glielo avevo detto, non volevo sembrasse quello che era, un addio al mondo»)) e Gregg l’ha completata rispondendo al fratello. Il resto lo fanno «Going going gone» di Dylan, «Black muddy river» dei Grateful Dead, «Willin’» dei Little Feat, «Once I was» di Tim Buckley, «I love the life I live» di Willie Dixon, «Blind bats and swamp rats» di Jack Avery... Non un pezzo, non un suono - blues, southern, country, soul, rhythm and blies... - e non un verso sono a caso, persino l’ordine dei brani in scaletta sembra voler raccontare la leggenda dei fratelli Allman, con Greg che ha scelto pezzi da dischi per lui importanti, con parole per lui importanti. Voleva fare un disco degno dell’esordio solista «Laid back» del 1973. C’è riuscito, salutandoci con un album emozionante. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino