Il commissario Ricciardi da record, parla il regista: «De Giovanni è la gallina dalle uova d'oro»

Il commissario Ricciardi da record, parla il regista: «De Giovanni è la gallina dalle uova d'oro»
«Ho appena fatto il mio cinquantunesimo tampone, girare con la pandemia ci obbliga a un tour de force sanitario senza precedenti, ma non c'è altro modo per...

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«Ho appena fatto il mio cinquantunesimo tampone, girare con la pandemia ci obbliga a un tour de force sanitario senza precedenti, ma non c'è altro modo per continuare il nostro lavoro»: Alessandro D'Alatri, regista della fortunata serie tratta dal ciclo di romanzi del commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni, che vede il protagonista interpretato in tv da Lino Guanciale, è stanco, ma soddisfatto. Il sesto ed ultimo episodio andrà in onda domani sera su Raiuno, pronta a confermare gli unanimi consensi di critica e pubblico, con una media di più di sei milioni di spettatori a puntata, mentre il regista è di nuovo sul set, impegnato in una nuova serie interpretata da Alessandro Gassmann, da lui ritrovato dopo la felice esperienza sulla seconda stagione di «I bastardi di Pizzo Falcone», anche quella tratta dai romanzi del bestsellerista partenopeo.

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D'Alatri, è stato difficile dirigere «Il commissario Ricciardi»?
«È stata la cosa più complessa della mia vita, un lavoro che doveva durare un anno e ne ha impegnati tre, un impegno tanto tosto quanto meraviglioso. Ho ricevuto i primi copioni nel maggio 2018, ma la produzione si è dovuta fermare varie volte già prima del Covid-19. Le ultime due settimane abbiamo potuto girarle solo nell'agosto scorso e mi sono trovato a fare le ultime verifiche in post-produzione quando le prime puntate erano già in onda. In questa serie ci sono 350 ruoli, abbiamo passato sei mesi solo per fare il casting, ma io ora ho un database con oltre duemila attori napoletani, attori che sono andato a vedere nei teatri, ma anche nei teatrini, nelle scuole e nei workshop. Questo mi ha dato accesso a una straordinaria vastità di colori umani interessanti di ogni fascia d'età, che esistono grazie alla tradizione teatrale napoletana. Napoli è da sempre una filiera incredibili di talenti, c'è un fil rouge continuo di recitazione che va da Antonio Petito nell'800 per arrivare fino ad oggi, ad autori come Mimmo Borrelli».


Ricostruire la Napoli degli anni 30 è stato un problema?
«Napoli è una metropoli, non un paesino, quindi questo creava una grande complessità a fronte di romanzi in cui de Giovanni indica anche il numero civico dei palazzi. Per questo ho puntato a ricostruire l'anima della città, perché Napoli non è solo un luogo fisico, ma anche un luogo dell'anima e quest'anima io ho imparato a conoscerla ed amarla dopo averci trascorso gli ultimi quattro anni della mia vita, girando in sequenza prima In punta di piedi, poi I bastardi e ora Ricciardi».


Come si coglie l'anima di Napoli?
«Napoli ama essere amata e ti ricambia, per questo ho evitato tutti i facili stilemi, pieni di pregiudizi, con cui troppo spesso è rappresentata, perché per me sarebbe stata una sconfitta. Così, se da una parte abbiamo potuto mostrare opere monumentali simboliche come piazza del Plebiscito, Castel dell'Ovo, il San Carlo, per quanto riguarda invece i vicoli, i Quartieri Spagnoli e il Rione Sanità ho scelto di girare nella Taranto vecchia, che ha un'architettura borbonica meglio conservata di quella partenopea. E, poi, non potevo paralizzare la città col nostro set».


Con de Giovanni come avete collaborato?
«Ci siamo incontrati all'inizio, in fase di sceneggiatura, poi lui con molta discrezione non è più intervenuto, ma mi ha riempito di gioia il suo pubblico ringraziamento: Non tanto e non solo per aver fatto un film bellissimo, ma per la tenerezza e l'immenso rispetto riservato alle mie parole, ai miei personaggi e alla mia città, ha detto. Troppo spesso abbiamo assistito a spiacevoli derby tra gli autori e i registi che affrontano le loro opere, il fatto che Maurizio si sia espresso in questo modo nei riguardi della serie mi rassicura e inorgoglisce».


Ogni puntata comincia e finisce con «Maggio se ne va» di Pino Daniele, a cosa si deve questa scelta?
«Pino ed io eravamo molto amici e anche le nostre figlie sono molto legate, abbiamo passato molte serate a bere e chiacchierare di musica, ricordando le nostre avventure da ragazzi ai concerti rock. Avevamo scelto di non lavorare insieme proprio per non rischiare di rovinare questa amicizia con problemi lavorativi. Quel brano, l'ultimo della seconda facciata di Bella mbriana, secondo me rende perfettamente il tono delle vicende di Ricciardi e per me utilizzarlo è stato come chiudere un cerchio, celebrando un'amicizia interrotta troppo presto».


Lei ha lavorato su due riduzioni dei romanzi di De Giovanni, come giudica il successo televisivo delle sue opere, «Mina Settembre» compresa, e in attesa di «Sara»?
«Mi fa molto piacere che Maurizio sia l'autore più prolifico attualmente in circolazione, si può dire che sia una gallina dalle uova d'oro perché è riuscito nel miracolo di fondere senza problemi il pubblico della letteratura con quello della tv. Con il suo stile fa apprezzare Napoli anche al Nord, proprio come faceva Eduardo, le cui commedie erano applaudite anche a Udine».


Avendo diretto sia «I bastardi», sia «Ricciardi» che differenze trova tra le due Napoli che vi si raccontano?


«Quella più evidente sono le epoche diverse, ma in Ricciardi c'è l'aspetto paranormale di quella Napoli esoterica che ha rispetto della morte, perché ama e rispetta la vita. Entrambe hanno in comune la scelta di affrontare i crimini della società civile: per amore, o più spesso per fame in Ricciardi; per interessi, gelosie e passioni in Bastardi, che ho dovuto lasciare alla seconda serie, proprio per occuparmi del commissario: ma non temete, la terza sta per arrivare. Non credo sia un caso che Maurizio abbia scelto di non raccontare il crimine organizzato: in questo modo ha evitato ogni cliché, per restituirci invece l'aspetto multiculturale e caotico di Napoli, che per me è molto simile a New York e, come New York, è un'isola di forte energia culturale». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino