Era la prima volta che recitava un testo del padre senza avere il padre a fianco sul palcoscenico. Per quell’allestimento di «Ditegli sempre di sì» - dato nel febbraio...
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Ecco, Luca De Filippo e Eduardo, quel padre gigantesco e certamente non facile da frequentare, quand'era in vita, e ancor più da «gestire» dopo la sua morte. All'inizio Luca, come si sa, non voleva fare l'attore, anzi confessò ad Annamaria Ackermann, ch'era in compagnia con loro, il proposito di vendere tutte le proprietà, dopo la scomparsa di Eduardo, e di chiudere con l'ambiente teatrale. Ma in seguito, sappiamo anche questo, a poco a poco Eduardo lo conquistò, e vennero gli allestimenti memorabili dei capolavori replicati anno dopo anno dal vivo e, inoltre, registrati per la televisione. D'altronde, non poteva andare diversamente per colui che portava sulle spalle la responsabilità di essere - insieme con il cugino Luigi, il figlio di Peppino - l'ultimo discendente della più grande famiglia teatrale italiana del Novecento: quella famiglia che aveva avuto come capostipite suo nonno Eduardo Scarpetta, il reinventore in napoletano del «vaudeville» e, dunque, il creatore di una drammaturgia che portava alla ribalta - riproducendone in chiave comica sia le piccole manie che l'ideologia conservatrice e in qualche caso (come annotò Croce) addirittura reazionaria - la borghesia che aveva sostituito, sulla scena, il teatro popolare incarnato da Antonio Petito. Per quanto lo riguardava personalmente, poi, Luca De Filippo aveva appreso dal padre due cose soprattutto, la serietà e il rigore.
E furono i tratti distintivi non solo del suo lavoro come interprete e regista, ma anche e specialmente della sua vita, connotata da una riservatezza tanto più preziosa quanto più rara nel mondo effimero dei teatranti. Proprio quella serietà e quel rigore lo spinsero, peraltro, a rifiutarsi d'essere considerato sempre e solo come «il figlio di Eduardo» e, per conseguenza, di rimanere prigioniero della drammaturgia paterna.
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Il Mattino