Il «King of comedy», il re della commedia, dell’Ischia Global Film & Music Fest 2016 è Danny DeVito, premiato ieri sera al Regina Isabella di Lacco...
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In «Wiener-Dog», presentato in anteprima mondiale al Sundance e già acquistato per l’Italia dalla Lucky Red, lei, Danny, è alle prese con un personaggio di grande complessità. Che cosa l’ha convinta a interpretare questo ruolo?
«Innanzitutto, il notevole livello della sceneggiatura. Ogni volta che mi propongono un film leggo con molta attenzione i vari script, anche quando il mio è un personaggio minore. Quando ho ricevuto la sceneggiatura di “Wiener-Dog” ho subito compreso che il carattere bizzarro e dolente del professor Schmerz, un insegnante di cinema, mi avrebbe permesso di esplorare altri aspetti del mio animo, facendomi lavorare, per esempio, sul concetto di dolore. Ho girato le mie scene in soli sei giorni, recitando spesso assieme a un cane, che è sempre una grande sfida, e accettando di interpretare un uomo depresso, pur di potermi calare completamente nel mondo personalissimo di un regista visionario e acuto come Todd Solondz, del quale avevo visto e apprezzato tutti i film precedenti».
All’Ischia Global lei ha portato anche il nuovo cortometraggio firmato come regista, «Curmudgeons», che in italiano vuol dire «brontoloni». E, più in generale, continua a praticare il cinema in varie vesti. Quale è quella che predilige attualmente?
«In questo momento della mia carriera mi sento molto più regista, piuttosto che attore. E, infatti, a questo cortometraggio realizzato in famiglia e presentato in anteprima al TriBeCa Film Festival di New York tengo moltissimo. D’altra parte, anche dietro la macchina da presa, negli anni, mi sono già tolto belle soddisfazioni, come con “La guerra dei Roses” oppure “Matilda 6 mitica”. Il cinema continua a piacermi moltissimo».
Lei sull’isola sarà protagonista anche di una masterclass con giovani attori. Racconterà loro come ha scoperto la vocazione per la recitazione e s’è avvicinato al mondo del cinema?
«Sarà interessante confrontarmi con loro. Gli racconterò, certamente, di quando ero ragazzo a Neptune, una cittadina del New Jersey, senza sapere assolutamente di poter essere un attore da adulto. Ricordo che non avevo molte prospettive lavorative, così iniziai a lavorare presso il negozio di estetista di mia sorella, la quale per trovarmi un posto nella sua attività mi fece iscrivere a un corso da truccatore. Poiché questo corso era collegato a una scuola di cinema, mi trovai all’improvviso a fare un provino che, poi, cambiò tutta la mia vita. Non sapevo nemmeno che cosa fosse esattamente un monologo, ma all’epoca amavo Marlon Brando. Così, dopo appena tre lezioni da truccatore, decisi che nella mia vita avrei fatto altro, cioè avrei recitato».
A proposito di recitazione: lei è reduce dal set del nuovo film di Taylor Hackford, «The Comedian», nel quale la affiancano un altro mostro sacro di origini italiane come Robert De Niro, oltre a Harvey Keitel. Quali sono i suoi rapporti con l’Italia?
«Le mie radici sono qui. E, anche se non riesco a spiegarmi molto bene in italiano, sono legatissimo a questa terra, che mi accoglie ogni volta con enorme calore, come accaduto l’altra sera durante la magnifica festa dell’Ischia Global. Porto sempre dentro di me un po’ di Italia, anche quando lavoro su un nuovo ruolo per provare a entrarci dentro con tutto me stesso».
Quale è il suo metodo?
«Per la verità, è piuttosto inusuale. Infatti, non amo declamare ad alta voce le mie battute, per esempio davanti a uno specchio. Ed è una cosa che non faccio mai. Per fissare meglio le battute, invece, preferisco scriverle. E, proprio attraverso la scrittura, riesco poi a farle mie definitivamente». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino