L'uomo che insegnò a essere rockers

L'uomo che insegnò a essere rockers
Peppino Di Capri non merita solo il premio alla carriera del Festival di Sanremo, merita tutti i premi del mondo, compresi quelli di Hollywood, ma per ora accontentiamoci di...

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Peppino Di Capri non merita solo il premio alla carriera del Festival di Sanremo, merita tutti i premi del mondo, compresi quelli di Hollywood, ma per ora accontentiamoci di quello dell’Ariston, sperando che Claudio Baglioni voglia riconoscere alla sua carriera la gloria che merita.

Io sono un figlio del jukebox, del rock’n’roll, uno di quegli americani di Napoli nati nel solco di Carosone e, appunto, di superPeppino. Ai tempi di Taioli e Claudio Villa era l’unico di cui potevamo andare orgogliosi, non solo nei twist, anche in «Nun è peccato» e in «Malatia» aveva immesso un sound incendiario, competitivo con quello di Chuck Berry, Neil Sedaka, persino con quello di Elvis Presley. A un certo punto ha anticipato persino i Beatles, con cui poi se n’è andato in tournèe.

Io lo adoro e lo avevo messo persino dentro la sceneggiatura di un film che ho proposto anche ad Aurelio De Laurentis, ma non se n’è mai fatto niente. Nel copione immagino che, alla fine della seconda guerra mondiale, dopo gli accordi di Yalta, l’Italia venisse divisa in due: il Nord con il Patto di Varsavia, il Sud con gli Stati Uniti ed una promessa di indipendenza. Nel Mezzogiorno si parlava inglese, si progrediva, ci si apriva al mondo, non senza qualche gelosia nordica, per la grande bellezza che si riscopriva non più arretrata. E la la lingua permetteva a Peppino Di Capri di diventare una star anche a Hollywood, altro che a Sanremo.


Ma a Napoli, e in Italia, l’inglese non è di casa e a Hollywood, come a New York, come a Londra e nei posti che contano dell’impero sonoro angloamericano una canzone in italiano non la prendono nemmeno in considerazione. Così iniziamo a premiarlo all’Ariston, iniziamo a fargli risentire l’applauso di quel Festival che l’ha visto quindici volte in gara e due volte vincitore. Io ho sempre preferito stare lontano da Sanremo, non fa per me, ma per applaudire Di Capri, l’uomo che ci insegnò come essere Rockers, farei volentieri un’eccezione. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino