Nella primavera del duemilaquattro parto per Palermo. Ho un appuntamento con Agnese Borsellino, moglie del magistrato ucciso nella strage di via D'Amelio. Porto con me un...
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Nella primavera del duemilaquattro incontro Agnese a Palermo; desidero che legga il testo e lei desidera leggerlo. Quell'incontro segna l'inizio di una sintonia sulla verità e anche l'avvio di un'amicizia tra le più belle della mia vita. Questa donna forte, intelligentissima, mi colpisce per una capacità vitalistica tutta sua. Agnese trasforma il dolore in luce. Si occupa di minori a rischio e promuove iniziative culturali per le giovani generazioni. Ho bisogno del suo punto di vista su «Paolo Borsellino Essendo Stato», un testo che attraversa zone delicate della vita del marito. Quando mi manifesta la sua gioiosa condivisione decido che i segni debbano farsi suoni. La scrittura diventa messinscena e debutta a Benevento nell'ambito del Festival Città Spettacolo. Agnese prenderà l'aereo e sarà presente alla prima nazionale nel settembre duemilaquattro per ascoltare Massimo De Francovich nell'evocazione di Borsellino. Al termine del lavoro, che la concentrazione del pubblico trasforma in un'intensa messa laica, gli inviati della Rai accendono le telecamere e la intervistano. La dichiarazione di Agnese è un sussurro di acciaio: «Stasera hanno fatto resuscitare mio marito».
Da quella sera l'opera ha attraversato tutta l'Italia, dal Piccolo Teatro di Milano all'Eliseo di Roma, dal Mercadante di Napoli al Biondo di Palermo, dove nel duemilacinque conosco Manfredi e Fiammetta. Il testo, che avrebbe dovuto essere un terminale della mia ricerca sul magistrato, diventa invece una strada con prospettiva infinita per capire l'uomo Borsellino, la Sicilia, l'Italia, per leggere in profondità le scaturigini della mafia e la bellezza dell'idea di Stato.
Ora «Essendo Stato» va in onda su Rai Storia e su Raiuno, con anteprima nella sede Rai di viale Mazzini in Roma. La scrittura ha preso la forma del film documentario e il testo si arricchisce delle audizioni tesissime di Borsellino e Falcone dinanzi al Csm il trentuno luglio del millenovecentottantotto. Erano stati convocati con l'intento-minaccia di provvedimenti disciplinari per le dichiarazioni alla stampa sullo smembramento dei mezzi di contrasto alla criminalità organizzata. I due magistrati pronunciano parole che gli italiani non hanno mai ascoltato, mentre va in scena la loro solitudine rispetto ai ritardi e alle imperdonabili e inconcepibili superficialità delle istituzioni.
Per questa versione televisiva di «Essendo Stato» ho sentito il dovere di fare testimonianza civile in prima persona, diventando il medium della figura di Paolo Borsellino, fissando i set tra le aule giudiziarie di Castel Capuano e il Cilento, costruendo un montaggio tra il mio girato e i materiali d'archivio della Rai.
Quando ripenso a Borsellino e Falcone, penso a due rivoluzionari del linguaggio. Soltanto due palermitani come loro potevano portare tanta luce in una terra che si fonda sulla cultura dei sottintesi. Il lavoro che hanno svolto è di natura squisitamente psicanalitica. Interrogare, ascoltare senza pregiudizi, immedesimarsi, riconoscere, come diceva lo stesso Falcone, che se vogliamo comprendere la mafia dobbiamo accettare l'idea che ci somiglia. E dopo? Dopo c'è Borsellino da solo: dopo la morte di Falcone non si sottrae, non lascia Palermo, lo deve alla giustizia e lo deve ad un amico conosciuto a undici anni. Dopo ci sono i giovani, quelli che oggi hanno vent'anni e senza averli conosciuti li amano. «Essendo Stato» non è un documentario elegiaco ma un lavoro che vuole parlare a chi desidera coltivare la forza di avere forza. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino