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Lo sguardo su una città ferita, devastata dalla crisi, guardata attraverso gli occhi dei giovani, delle loro intemperanze, le loro inquietudini, il loro malessere. Inquadrare questi giovani nell’ambito familiare, in un suk di emozioni, aneddoti, malapolitica, eventi, scaramanzie, sogni di supervincite, incontri con la piccola malavita, il desiderio di un futuro, un futuro migliore che però i giovani credono non passi attraverso la legalità, l’onestà, il vivere civile delle due famiglie, Guarracino e Sabatino, protagonisti piccolo piccolo borghesi che cercano di ostentare una appena decente parvenza di dignità.
In una delle due famiglie c’è uno zio anziano, Pasquale (al tempo degli americani chiamato Pascià) che ha partecipato alle 4 giornate di Napoli e quel ricordo gli ha segnato la vita, l’anima e anche la testa, dal momento che racconta a tutti le sue gesta e quelle dei suoi compagni, creando spesso disattenzione e ilarità in chi lo mal sopporta. Ormai Napoli è cambiata, forse a nessuno importa più delle 4 giornate, la città e il mondo hanno altre amare giornate con cui fare i conti. E sarà proprio Pascià, con la sua storia, che si intersecherà con le vicende di suo nipote Salvatore, a far diventare epica la narrazione. E ritorna quindi Eduardo De Filippo, invocato ed evocato nel finale allorquando in seguito ad un fatto di sangue, si leva alto il desiderio di non aspettare più che la nottata passi, ma quello di agire e prendere un futuro onesto tra le mani, per potersi ridisegnare una vita, una speranza, un cammino nuovo.
(Peppe Lanzetta) Leggi l'articolo completo su
Il Mattino